Sopportare pazientemente le persone moleste (Giugno 2016)

* William Blake, Giobbe rimproverato dai suoi amici
** William Blake, Dio portato dagli angeli

Non si trova facilmente, nell’arte, un soggetto che possa convenientemente illustrare una delle più difficili opere di misericordia spirituale: sopportare pazientemente le persone moleste. Virtù evidentemente difficile, tanto da vivere quanto da rappresentare! Nell’arte esistono invece, esempi di pazienza e di virtù, mediati dalla tradizione cattolica e dalla predicazione della parola di Dio. Uno di questi esempi è sicuramente quello del cosiddetto beato Giobbe*. Il libro di Giobbe, come noto, è del tutto immaginario, eppure sia le vicende che le caratteristiche di santità e di pazienza di quest’uomo sono così ben caratterizzate da renderlo uno dei personaggi biblici più amati e invocati. Non era difficile, ad esempio in Lombardia, trovare cappelle dedicate al beato Giobbe, oggi andate quasi tutte distrutte e per l’usura e perché ritenute prive di vero interesse artistico. Un vero peccato e un esempio di come si guardi all’arte solo da un punto di vista economico e valoriale, senza rendersi conto dell’enorme portata storica, culturale e religiosa di certe opere minori. Il beato Giobbe, in una zona dove la difficile coltivazione del baco da seta metteva a dura prova la pazienza dei contadini, insieme con il profeta Giona, era invocato appunto per rafforzare questa virtù intrecciata tenacemente con la fiducia in Dio. Il racconto del libro di Giobbe è noto; da una condizione agiatissima, frutto di una fede ben radicata nel Signore e nella sua provvidenza, Giobbe è costretto a vivere dure prove: la morte dei figli e delle figlie e la perdita di quasi tutti i suoi averi. Queste esperienze dolorose, secondo il testo sono provocate dall’invidia di Satana, che vuole colpirlo negli affetti più cari per saggiare la bontà della sua fede. Così l’arte lo ritrae nudo e provato, coperto di piaghe, attorniato dagli amici e dalla moglie che, incapaci di aiutarlo veramente, lo molestano con le loro teorie e supposizioni. Tra i molti dipinti che sarebbe possibile scegliere, mi soffermo su un’opera di William Blake che a Giobbe ha dedicato un intero ciclo di acquerelli. Giobbe si trova a terra, seduto sulla nuda paglia e coperto da un drappo di pelo. Gli amici lo accusano, puntando il dito, di aver certamente meritato quei dolori a causa di mancanze più o meno volontarie, per le quali Dio lo avrebbe punito. I tre amici sono seduti in un crescendo drammatico che rende ancora più intenso e inappellabile il loro giudizio. Il testo rivela come questi, pur armati dalle mille buone intenzioni, non abbiano un corretto rapporto con Dio, avendo aperto con lui un conto di dare e avere. Tutto ciò getta una luce particolare sulle cosiddette persone moleste. Spesso, gli scontrosi, i dispettosi, come i bulli, si rivelano persone incapaci di amarsi e perdonarsi e incapaci di un rapporto vero e sereno con Dio stesso. Sopportarle, dunque, diventa un modo per aiutarle a riconciliarsi con loro stesse e con Dio. Così farà Giobbe nel lungo corso del dibattito che impegna la quasi totalità del libro. Anche la moglie, ritratta da William Blake vicinissima al marito (e quindi solidale con le sue sofferenze), si dissocia dalla ferma fiducia di lui. Anch’ella lo molesta con parole amare. Proprio attraverso l’opposizione della moglie emerge un altro tema fondamentale nel libro di Giobbe quello del Mistero dell’Iniquità: «Satana si allontanò dal Signore e colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo. Giobbe prese un coccio per grattarsi e stava seduto in mezzo alla cenere. Allora sua moglie disse: Rimani ancora fermo nella tua integrità? Benedici Dio e muori. Ma egli rispose: Come parlerebbe una stolta tu hai parlato. Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?». Come la prima coppia davanti all’albero del bene e del male, anche Giobbe e la moglie, sono chiamati a dare la loro risposta al comandamento divino. Già qui c’è una Redenzione in atto perché, sebbene la moglie di Giobbe si lasci prendere dalla tentazione di disperare, il marito rimane fermo nella sua integrità di fede, sanando dunque, nella sua carne e nella sua vita, gli effetti del peccato di Adamo. Sopportare le persone moleste quindi implica anche la coscienza di un mistero dell’iniquità in atto, che muove a parole o a gesti persone senza che queste ne siano pienamente consapevoli.
Il tutto per gettare discordia e inimicizia fra gli uomini e fra gli uomini e Dio. Nell’acquerello di Blake, Giobbe sta fermo e retto, come la roccia a forma di croce che sta dietro le spalle della moglie. Le sue braccia aperte contrastano con quelle allungate e accusatrici degli amici e anche con quelle chiuse della moglie. Giobbe accetta la realtà come viene da Dio e questo gli dà la forza per sopportare le parole amare. Non si pensi però che Giobbe sia un uomo rassegnato e passivo: tutt’altro. Lo disegna bene Blake in quell’impeto fiero che lo fa levare dal suo giaciglio e gli fa sollevare gli occhi al cielo, certo della sua innocenza e del suo rapporto con Dio. Sopportare non significa misconoscere la verità, nemmeno per un bene maggiore. Giobbe in alcuni punti della sua difesa sfiora la bestemmia, tanto è vero e franco il suo rapporto con il Signore. Egli lo sfida e lo interroga e, come l’orante biblico che parla nei salmi, non teme di chiedere a Dio se si è addormentato! L’epilogo del libro disegna la ricompensa offerta anche ai misericordiosi: Dio stesso li difenderà.
Il ciclo degli acquerelli di Blake si conclude con una grande teofania**. In un altro acquerello il cielo ormai oscuro rivela il turbinio della luce di Dio il quale appare portato dagli angeli. Il volo degli spiriti celesti obbliga gli amici e la moglie a inchinarsi, non soltanto davanti a Dio, ma anche davanti allo stesso Giobbe. Questi invece, pur col capo coperto, resta in ginocchio a mani levate, pronto ad accogliere la risposta divina. Dio a braccia tese sembra voler proteggere colui che qui chiama suo servo: Il Signore disse a Elifaz il Temanita: «La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due amici, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe. Prendete dunque sette vitelli e sette montoni e andate dal mio servo Giobbe e offriteli in olocausto per voi; il mio servo Giobbe pregherà per voi, affinché io, per riguardo a lui, non punisca la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe». Non a caso l’opera spirituale di sopportare le persone moleste è connessa con quella corporale della visita ai carcerati: il riferimento ultimo è al comando evangelico di amare i nemici, anche quelli che ci calunniano. Pertanto colui che sopporta le intemperanze altrui per amor di Dio, diventa intercessore, si pone in mezzo fra Dio e gli uomini e, per questo, riceverà un grande ricompensa.

* Monache dell’Adorazione Eucaristica Pietrarubbia