Beati gli afflitti (Aprile 2018)

Mosaico della pavimentazione antistante alla Basilica delle Beatitudini nei pressi di Tabgha Galilea, Israele. Part. dei beati gli afflitti

Il paese delle lacrime è misterioso scriveva Antoine de Saint Exupery in un libro che, una volta letto, difficilmente si dimentica: Il piccolo principe. Le afflizioni che procurano lacrime sono al secondo posto nella classifica dei beati cui Gesù fa riferimento nella sua Nuova Legge. Le lacrime rappresentano il leitmotiv delle raffigurazioni presenti nella pavimentazione antistante alla Basilica delle Beatitudini, entro il girale dedicato alla seconda categoria dei beati: beati gli afflitti perché saranno consolati. Il primo personaggio che ci è proposto a modello di una tale beatitudine è Giacobbe. Nella tradizione rabbinica questo patriarca introduce nel mondo la malattia: Abramo iniziò la vecchiaia, Isacco la sofferenza e Giacobbe la malattia. Questo, a motivo della lotta con l’angelo del Signore che lo lasciò claudicante. In realtà, nel mosaico, è raffigurato non a partire da quell’episodio, fondante la sua esperienza del divino, ma a motivo del suo rapporto con i figli e precisamente a motivo della presunta morte di Giuseppe sbranato, secondo l’infondato racconto degli altri fratelli, da una bestia feroce. Di fatto il mosaico ci presenta Giacobbe con in mano una veste imbrattata di sangue, mentre la scritta latina recita lugens filius suum ovvero: piange il figlio suo. Giacobbe, di fatto, fu consolato da questa afflizione perché, grazie a Dio, Giuseppe non era stato sbranato da bestia alcuna ma, com’è noto, era stato venduto dai fratelli per 20 sicli d’argento. Deportato in Egitto quest’ultimo divenne Viceré, secondo solo al Faraone e poté in tempo di carestia salvare i fratelli e consolare il padre. Il secondo medaglione ci presenta Pietro, mentre piange amaramente (ploravit amare si legge in latino) dopo aver rinnegato Gesù. Spetta al primo degli Apostoli inaugurare, nel tempo della Chiesa, la verità di questa beatitudine. Egli che sperimentò la sua assoluta debolezza di fronte al dramma dell’arresto di Gesù, al punto da temere le parole (non di persone autorevoli ma) di inservienti che stavano di notte davanti al fuoco per scaldarsi, fu il primo a godere della consolazione divina attraverso la gioia del perdono e della risurrezione di Cristo. Un gallo rosa fa bella mostra di sé in primo piano, è il segno che Gesù stesso aveva indicato a Pietro: prima che il gallo canti tu mi avrai rinnegato tre volte. Il gallo, che noi cristiani decliniamo immediatamente in negativo associandolo al rinnegamento di Pietro, è in realtà un simbolo positivo, è l’animale che annuncia la rinascita e il sorger di una nuova luce. Già il gallo, per l’apostolo, fu promessa di consolazione. Dopo l’acuto dolore sperimentato a causa del tradimento, Pietro incontrerà lo sguardo di Gesù e, con esso, il perdono e la pace. L’ultimo personaggio, che simboleggia le afflizioni della Chiesa, è Santa Monica, una madre di famiglia, di grande fede e di grande pazienza. Ella pregò insistentemente il Signore per il marito Patrizio e il figlio Agostino. Le sue lacrime furono accolte dal Signore che l’esaudì oltre misura, come ella stessa afferma in punto di morte. Il marito si convertì e morì con tutti i sacramenti, mentre il figlio non solo divenne cristiano, ma anche vescovo e fondatore di comunità monastiche maschili e femminili. La consolazione di Monica fu davvero grande e non solo per sé: la sua vita rende evidente a tutti, ma in particolare ai genitori, che nessuna preghiera cade a vuoto innanzi a Dio. La pavimentazione ci narra, dunque, di tre persone che versano lacrime generate da motivazioni diversissime. Il dolore di Giacobbe fu generato dal dramma della morte e della violenza fratricida; quello di Pietro dal proprio limite e dal proprio peccato, quello di Monica dal pericolo della morte ultima. Il primo e l’ultima piangono per altri, il secondo piange principalmente per sé. In tutti e tre i casi tuttavia il Signore consola, perché in tutti e tre i casi la sofferenza coinvolgeva Dio stesso. Di fronte al dolore della morte, il primo a soffrirne è Dio stesso e, come per Abramo, anche per Giacobbe la restituzione del figlio è segno e profezia della Risurrezione che Cristo è venuto a portare. Così nel dolore del tradimento Dio stesso attende la conversione e desidera perdonare perché si fa più festa in cielo per un peccatore che si converte che per 100 giusti che non hanno bisogno di conversione. Infine nel dolore di una madre (e di un padre) Cristo vede il dolore di Maria, il dolore della Chiesa per tutti quelli che si perdono. Consolare è per Dio, dunque fonte stessa di consolazione. Questa beatitudine, pertanto, se ci rallegra nelle nostre afflizioni ci sprona però anche ad essere fonte di consolazione. Vale in tal senso associare al dettato evangelico un passo delle lettere paroline: «Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione».
suor Maria Gloria Riva
Monache dell’Adorazione Eucaristica Pietrarubbia