Beati gli operatori di pace (Ottobre 2018)

Immagine: Mosaico della pavimentazione antistante la Basilica delle Beatitudini, nei pressi di Tabga, Galilea, Israele (1938 ca.) Part. de “ Beati i pacifici”.

Melchisedec re di Salem appare sulla scena biblica in modo misterioso, senza patria e senza genealogia. Appare nella vita di Abramo dopo che questi ebbe riportato vittoria contro gli elamiti e i loro alleati; è re, ma si presenta come Sacerdote del Dio Altissimo e offre all’altare pane e vino. Il grande patriarca gli rende omaggio versandogli la decima del bottino.
Da questi brevi accenni si può comprendere come questo passo della Genesi rappresenti una delle radici del Mistero di Cristo, della sua Incarnazione, della sua regalità e della qualità diversa del suo sacerdozio rispetto a quello dell’antica economia. Melchisedec, il cui nome significa re di Giustizia, è anche re di Salem, ovvero di re di pace, pertanto la Chiesa delle origini, come i padri della Chiesa, videro in lui l’anticipata apparizione del Messia, Principe della Pace e sacerdote di una Alleanza nuova. Nel girale dedicato ai pacifici Melchisedec è il primo testimone e si presenta mentre offre a Dio il sacrificio del Pane.
Il pane dell’offerta era la forma incruenta del sacrificio, un’oblazione pacifica in cui non vi era (a differenza degli olocausti o dei sacrifici di comunione) spargimento di sangue. Il nostro mosaicista non manca di citare un passo della lettera agli ebrei dove appunto si specifica che l’essere re di Salem significa essere re di pace: «E Abramo diede a lui la decima di ogni cosa. Egli è anzitutto, traducendo il suo nome, Re di giustizia; e poi anche re di Salem, vale a dire Re di pace.» (Eb. 7:2) Il termine ebraico Salem può essere tradotto anche come «esser salvo, essere integro». In tal senso, il misterioso re e sacerdote incontrato da Abramo è veramente Pacifico. Non è solamente re della Pace, ma ha anche in sé la salvezza e l’integrità che conducono alla Pace. Così Melchisedec rimanda a Cristo che, non solo fu Principe della Pace ma, avendo in sé la sorgente della salvezza e l’assoluta obbedienza al Padre, fu egli stesso Pace facendo dei due un popolo solo, distruggendo in se stesso l’inimicizia voluta dal maligno e aprendo non solo agli ebrei, ma a tutti gli uomini la salvezza.
La beatitudine dunque viene immediatamente orientata a Cristo. Le beatitudini sono, di fatto, l’identikit di Gesù e questa in particolare rimanda all’unico che veramente ha visto Dio e dunque lo può comunicare agli uomini: Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Figlio di Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere (Gv 1:18).

Diventa chiaro allora come, quale testimone dei pacifici del Nuovo Testamento, sia presentato l’apostolo Paolo. Benché non risulti dagli Atti e dalle sue lettere che egli avesse un carattere particolarmente mite, Paolo fu un grande pacificatore. Egli, infatti, si adoperò in tutta sapienza per fare dei due un popolo solo, aprendo anche ai Pagani la porta della salvezza. Non a caso è ritratto in primo piano mentre reca con sé la spada. Quel suo attributo rimanda, da un lato al momento della conversione; quando cioè, orientato a uccidere i seguaci di Cristo, vide Gesù sulla via di Damasco e divenne appunto, uomo di pace. Dall’altro, alla spada della sua parola capace di esortare, correggere e convertire a Cristo. Fu però quando vide Dio che Saulo (il futuro Paolo) comprese l’opera della Pace che doveva servire. Sulla via di Damasco egli comprese l’unità profonda tra Cristo e la Chiesa perché Gesù si presentò a lui come luce abbagliante e gli disse: perché mi perseguiti? Saulo, a quanto sappiamo, non aveva mai conosciuto Cristo, ma ugualmente lo perseguitava nelle sue membra, cioè nella Chiesa. All’apostolo Paolo accadde, dunque, un movimento contrario: vide Dio e quindi diventò uomo di pace. Il contesto della lettera ai Romani in cui è inserita la frase del mosaico è quello del regno di Dio che non è frutto di cibo o di bevanda ma è giustizia, pace e gioia nello spirito Santo. Pertanto Paolo è un testimone autorevole spingendo i suoi, come appunto recita la scritta latina, a dedicarsi: alle opere della pace e alla edificazione vicendevole (Rm 14,19).

Nella Chiesa si dedicò alla vera edificazione e alla pace Santa Caterina da Siena. Questa donna umile, analfabeta e totalmente consegnata all’amore di Dio, rivelò una forza, un’intelligenza e una determinazione nel bene senza precedenti.
Nel mosaico è fotografata in ginocchio davanti al Pontefice: Caterina visse in un clima d’instabilità totale dove antipapi e papi confondevano gli animi determinando schieramenti che rischiarono di spaccare in due la santa Chiesa. Se ciò non avvenne lo si deve anche alla mistica senese. Santa Caterina si adoperò per portare la pace in Italia, per restituire i luoghi santi al culto Cristiano attraverso le crociate e, soprattutto, per far tornare il Papa a Roma. Dopo che Gregorio XI, residente ad Avignone, fece ritorno alla sede Pontificia le toccò, alla morte di quest’ultimo, affrontare anni di lotte fra papa e antipapa. In tale periodo la Santa non esitò a rivolgersi al Pontefice con toni forti e appassionati, dai quali emerge il grande amore per il magistero Petrino e la sua importanza vitale per la Chiesa, nonché la sua profonda fede e l’adesione alla verità, sopportando le critiche che tutto ciò le procurò. Caterina, insomma, seppe vedere Dio nella presenza dei vicari di Cristo anche quando attorno a questi regnava la confusione e l’equivoco. Forse la sua opera di pace, è ancora oggi esemplare e di grande attualità.
suor Maria Gloria Riva – Pietrarubbia