Beati i perseguitati a causa della giustizia (Novembre 2018)

Mosaico della pavimentazione antistante alla Basilica delle Beatitudini nei pressi di Tabgha Galilea, Israele (1938 ca.). Part. de “Beati i perseguitati a causa della giustizia”
La beatitudine per il giusto perseguitato si apre nel nostro mosaico pavimentale con la figura di Davide. Davide per la sua umanità, per il suo impasto tra una rettitudine di cuore e una fragilità che lo ha condotto più volte al peccato, è caro a tutta la tradizione giudaico-cristiana. La figura di Davide condensa in sé caratteristiche di eroicità, capaci di renderlo figura del Messia, ed errori che lo assimilano piuttosto a Pietro, scelto nonostante sé. Qui Davide campeggia al centro del medaglione musivo con le vesti tipiche del pastore. Tre pecore riposano indisturbate in mezzo a pascoli ubertosi. Nessun accenno alla sua vocazione di re di Israele e alle persecuzioni ricevute, nel corso della sua vita, da coloro che lo invidiavano. Un’allusione alla regalità di Davide era contenuta nel mosaico destinato al profeta Samuele che aveva riconosciuto e unto Davide come re del popolo perché «il Signore non guarda l’apparenza, guarda il cuore». Non fa meraviglia dunque che qui si voglia porre l’accento sulla condizione di pastore. Davide impugna la sola fionda, è scevro da ogni orpello di guerra. Nel combattimento contro Golia, Saul volle dotarlo di armatura, scudo e lancia, ma Davide non avvezzo alla guerra, scelse di essere sé stesso e andare contro al nemico con la sua sola e vera identità. «Non difendo forse le mie pecore dall’orso con la mia fionda?» fu la risposta di Davide a Saul. «Il Signore, che mi liberò dalla zampa del leone e dalla zampa dell’orso, mi libererà anche dalla mano di questo Filisteo (Primo libro di Samuele 17,36-37). Il Signore fu veramente con Davide che rivela qui la sua integrità di cuore. Il versetto del Salmo 18, citato nel mosaico solo in parte, esprime questa fede salda: Oppugnaverunt me in die afflictionis meae, et factus est Dominus fulcimentum meum; ovvero: Mi assalirono nel giorno di sventura, ma il Signore fu mio sostegno. Davide non confidò nei mezzi umani ma nella volontà e nell’aiuto di Dio. Questa è la prima caratteristica del perseguitato a causa della giustizia: Davide fu perseguitato per la rettitudine del cuore. Da Davide il nostro autore ci fa passare a Giovanni il Battista, ultimo fra i profeti dell’Antico Testamento, primo del Nuovo. Anche il Battista campeggia in mezzo al mosaico, ma non ha altri riferimenti che il deserto e il suo nome. «Nessuno – ebbe a dire Gesù – fu più grande di Giovanni il Battista eppure il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di Lui» (Mt 11,11). Gesù afferma così la superiorità di quanti vivranno durante e dopo gli eventi salvifici della sua passione, morte e risurrezione, identificati come il Regno dei cieli. Sappiamo dalla narrazione evangelica che il Battista fu creduto il Messia da tutti, anche da quelli che poi diventarono discepoli di Gesù, tuttavia Egli mai sfruttò a suo vantaggio gli equivoci, restando saldo nella sua missione di precursore della Verità e della Giustizia. E questo, in definitiva, fu anche il motivo del suo martirio. La sua voce infastidiva e, nel medesimo tempo, affascinava. Tutto il movimento persecutorio che si scatenò verso di lui trovò la sua punta di diamante nell’opposizione a Erode Antipa. Anche costui, nella sua debolezza, da un lato non sopportava la parola severa e chiara del Battista ma dall’altro ne restava rapito e si fermava ad ascoltarlo volentieri, come dice il testo biblico (Mc 6,20). In tale frangente il Battista adempi ogni giustizia avendo a cuore la salvezza dell’anima di Erode e di Erodiade, sua amante. L’accusa pubblica dell’adulterio dei due sovrani fu la causa della sua condanna a morte. Il Battista rese onore alla Verità e alla Giustizia, unendo nella sua persona l’obbedienza all’Alleanza di Mosè e all’Alleanza Nuova in Cristo. Egli fu perseguitato, dunque per la rettitudine della fede.
Il testimone dei perseguitati nella storia della Chiesa è san Giustino, un padre della Chiesa forse tra i più dimenticati. Giustino si dichiarava samaritano, ma il nome del padre (Prisco, figlio di Baccheio) tradisce origini latine. Educato al paganesimo si dimostrò fin da piccolo assetato di verità. Il suo percorso filosofico passò dalla scuola dei peripatetici, ai pitagorici dove lo studio della musica dell’astronomia e della filosofia, non compiva pienamente il suo anelito alla verità. Approdato alla scuola platonica, gli parve di intravvedere quella verità che andava cercando. Si ritirò in solitudine pensando di raggiungere così la visione di Dio. In questo deserto fece un incontro illuminante. Un anziano anacoreta lo convinse che la filosofia non poteva raggiungere con lo sforzo umano ciò che essa stessa non conosceva, mentre la strada migliore per giungere a Dio era quella che Dio stesso aveva percorso per rivelarsi. Iniziò, allora, lo studio dell’Antico Testamento e dei profeti mediante il quale approdò alla conoscenza intima e personale di Gesù Cristo. Mise allora tutta la sua sapienza a servizio della Chiesa e dei suoi membri in quel momento perseguitati e coperti di calunnie. Fu proprio confutando le tesi di Crescenzio, filosofo molto potente a Roma, che si attirò una persecuzione violenta. Giustino, infatti, difendeva i cristiani da numerosi luoghi comuni. Morì decapitato con altri suoi sei discepoli. Nell’elenco dei perseguitati per la giustizia Giustino figura dunque come colui che è perseguitato per la difesa della Chiesa e dei suoi figli. In questo modo il martirio di Giustino chiude in bellezza, potremmo dire, la carrellata dei testimoni delle Beatitudini.
Suor Gloria Riva
Monache dell’Adorazione Eucaristica Pietrarubbia