Beati i puri di cuore (Settembre 2018)

Mosaico della pavimentazione antistante alla Basilica delle Beatitudini nei pressi di Tabgha Galilea, Israele (1938 ca.). Part. dei “Beati i puri di cuore”
La sesta beatitudine costituisce il cuore dell’elenco delle beatitudini, non tanto per la sua posizione, quanto per il suo significato biblico. Il cuore, nella Bibbia, è la sede delle decisioni, dei pensieri che spingono all’azione, più che dei sentimenti. La parola cuore sta alla radice della tribù sacerdotale, quella di Levi (Lev, infatti, vuol dire cuore). Risuona nei salmi il termine asher lev, ovvero i retti di cuore che Dio ama in modo particolare. Così i puri di cuore sono asher lev, sono coloro che hanno innato il senso della giustizia, che posseggono una sapienza del cuore, capace, appunto, di vedere bene laddove gli uomini, anche i migliori, non vedono. Primo testimone di questa beatitudine è Samuele, il cui ritratto nel mosaico tenta di abbracciare tutta la vita del profeta. La scritta si riferisce, infatti, a Samuele bambino: «Dominus erat cum eo», ovvero: «Samuele intanto cresceva e il Signore era con lui e non lasciò andare a vuoto nessuna delle sue parole» (1 Sam 3:19). Anna, madre di Samuele, era sterile e si recò al tempio per implorare il dono della fecondità. Il sacerdote Eli non comprese il suo dolore e, vedendola barcollare nella preghiera, l’apostrofò ritenendola ubriaca. Quando però Anna espose il suo dolore, Eli si accorse della santità della donna e gli predisse la nascita di Samuele. Dopo la nascita del figlio Anna cantò uno dei cantici più belli della Bibbia, fonte di ispirazione del Magnificat di Maria. Dopo lo svezzamento Samuele fu condotto al tempio e affidato alle cure di Eli. Per tre volte il Signore lo chiamò, ma egli non comprese fino a che lo stesso Eli lo istruì circa il modo di rispondere a Dio. Qui si colloca la frase presa dal capitolo 3. I puri di cuore sono dunque anzitutto quelli che obbediscono, riconoscendo la voce del Signore anche dentro circostanze difficili o la parola di persone fragili. Eli, infatti, non è presentato dalla Scrittura come un sacerdote modello, i suoi figli saranno indegni di succedergli quali giudici del popolo. Sarà invece Samuele a occupare quel posto. Se la frase latina si riferisce al profeta giovinetto, il mosaico lo rappresenta adulto con una corona sul capo e un corno in mano mentre versa dell’olio. Durante il suo mandato di giudice di Israele Samuele fu costretto a introdurre la monarchia e, dopo aver unto Saul, figlio di Kis, uomo bello e dalla statura imponente, si rese conto di quanto il cuore di Saul non fosse puro. Fu quindi inviato dal Signore alla famiglia di Jesse per scegliere uno dei suoi figli. Nessuno di quelli che Jesse presentava a Samuele (e che possedevano il physique du rôle per diventare re e guerrieri), era idoneo a essere unto re. Finalmente fu chiamato Davide, il più piccolo, avvezzo ai pascoli, suonatore d’arpa e dall’aspetto femmineo. Di fronte alla meraviglia di Jesse, che mai avrebbe scelto quel figlio, Samuele rispose: «l’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore». Uomo secondo il cuore di Dio e della stessa famiglia di Davide, perciò candidato al trono, fu Giuseppe di Nazaret. È costui, secondo il nostro autore, a incarnare – nel Nuovo Testamento – la beatitudine della purezza del cuore. San Giuseppe, ritratto in piedi, impugna il bastone da viandante come fosse un’arma e sorveglia, senza distoglierne lo sguardo, Gesù Bambino ancora in fasce e deposto nella mangiatoia. Se Samuele seppe riconoscere un re sotto le spoglie di un giovane pastore Giuseppe ebbe il grande dono di riconoscere Dio sotto il velo della carne di un bambino, gli toccò di scoprire la sua promessa sposa incinta e credette che ciò non fosse frutto di violenza o tradimento, bensì opera dello Spirito Santo. Ecco allora che il Nuovo Testamento ci obbliga a fare un passo in più rispetto al Primo: non semplicemente saper vedere e leggere il cuore umano, ma saper riconoscere Dio nelle circostanze più comuni e più improbabili, aderendo a questa fede con tutta la vita e accettandone le conseguenze. La scritta che adorna il girale di san Giuseppe recita così: «constituit eum dominus domus suae». Si tratta di una citazione riferita a Giuseppe, figlio di Giacobbe, contenuta nel Salmo 104 (vv. 17-21): «Davanti a loro mandò un uomo, Giuseppe, venduto come schiavo. Gli strinsero i piedi con ceppi, il ferro gli serrò la gola, finché si avverò la sua predizione e la parola del Signore gli rese giustizia. Il re mandò a scioglierlo, il capo dei popoli lo fece liberare; lo pose signore della sua casa, capo di tutti i suoi averi». Come l’antico Giuseppe si guadagnò la stima del Faraone e divenne strumento di salvezza per tutti gli altri undici figli di Giacobbe, così e anzi molto di più Giuseppe si meritò la stima del Creatore che lo fece veramente Signore della sua Casa, cioè della Chiesa del Figlio. Con la custodia del Figlio di Dio egli contribuì alla salvezza dell’intera umanità. Giuseppe rende evidente il senso profondo della beatitudine: vedere la Presenza di Dio, il puro di cuore vede Dio, laddove non è scontato riconoscerlo. Qui risiede la signoria di Giuseppe. Nella storia della Chiesa testimone esemplare di questa beatitudine è Santa Chiara. Il nostro mosaicista la coglie mentre si sporge dalle ogive del suo monastero tenendo in mano il Santissimo Sacramento per scacciare i saraceni. La Santa assisiate è pura anzitutto nel suo nome: Chiara. Nomen omen dicevano i latini, ella è dunque limpida, luminosa, capace dunque di vedere laddove l’uomo intorbidito dal male non vede. Non più un bimbo in carne e ossa chiede d’essere riconosciuto come Dio, ma una cosa, un pane, il Santissimo Sacramento. Chiara vede un Pane e riconosce la Presenza. Tale certezza si fa gesto: contro l’uomo iniquo, simboleggiato dai turchi che premevano alle porte di Assisi, imbraccia l’arma più certa, quella dell’Eucaristia. Ella incarna perfettamente il profilo dei puri di cuori stilato da san Francesco nelle sue ammonizioni: «veramente puri di cuore sono coloro che disprezzano le cose terrene e cercano le cose celesti, e non cessano mai di adorare e vedere sempre il Signore Dio, vivo e vero, con cuore e animo puro» (Ammoniz. XVI). Da questa carrellata di testimoni possiamo stilare l’identikit del puro di cuore: è puro chi va oltre le apparenze ed è capace di guardare ogni uomo come lo vede Dio. È puro chi vede la Presenza di Dio nelle opacità della storia e vi obbedisce, senza fermarsi agli scandali e alle contraddizioni. È, infine, puro chi vive pienamente ciò che Dio ha rivelato e che la Chiesa ci propone a credere e agisce di conseguenza.
suor Maria Gloria Riva – Pietrarubbia