Celebrazione eucaristica: Riti di conclusione

Il n. 90 dell’OGMR presenta questi riti nei loro elementi essenziali e costitutivi come di seguito: brevi avvisi, se necessari (cfr. nn. 166, 184); il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe circostanze si possono arricchire e sviluppare con l’orazione sul popolo o con un’altra formula più solenne; il congedo del popolo da parte del diacono o del sacerdote, perché ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio; il bacio dell’altare da parte del sacerdote e del diacono e poi l’inchino profondo all’altare da parte del sacerdote, del diacono e degli altri ministri. Questi riti, nei loro elementi, presentano una certa similitudine con i riti d’inizio della celebrazione. Il saluto prima della benedizione evoca quello che precede l’atto penitenziale all’inizio di tutta la celebrazione. Così pure il gesto di venerazione dell’altare con il bacio da parte del sacerdote e del diacono si compie qui come all’inizio della celebrazione. E si conclude tutto come era cominciato, con l’inchino profondo all’altare da parte del sacerdote, del diacono e degli altri ministri. Parlando dell’“inchino profondo all’altare” l’OGMR sembra dare per scontato il fatto che il tabernacolo non si trova nel presbiterio dietro all’altare. In tal caso il gesto conclusivo della celebrazione non sarebbe più l’inchino profondo bensì la genuflessione. Interessante è quanto afferma il documento circa il “congedo” del popolo da parte del diacono o dello stesso sacerdote. La formula che frequentemente si tende ad utilizzare “La Messa è finita, andate in pace” vuol essere la traduzione italiana di quella latina “Ite missa est” che, di per sé, vorrebbe dire “congedo, fine della riunione” (missa, da dimissio = congedo, fine). La formula italiana non è espressiva di ciò che intende il documento: è un congedo non per andare “in pace” nel senso di “tranquilli, tutto è finito”, ma “perché ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio”. In questa specificazione si coglie tutta la valenza di questo congedo: si tratta di tradurre adesso nella vita i misteri che abbiamo celebrato nella liturgia. È il prolungamento della celebrazione eucaristica nella vita vissuta al quotidiano nella lode di Dio e nella sua glorificazione, nonché nella testimonianza della carità compiendo il bene. Si potrebbe anche dire che si tratta di lodare e benedire Dio con e nella propria vita compiendo le opere di bene. C’è una formula di congedo che esprime felicemente tutto questo: “Glorificate il Signore con la vostra vita, andate in pace!”. È la pace del Risorto che, dopo essersi reso presente nella celebrazione e essersi dato a noi come nutrimento che crea comunione con Lui, ci manda adesso per le strade del mondo ripetendoci “mi sarete testimoni!”. E noi possiamo andare, infiammati da questo amore, a portarlo in ogni ambiente di vita affinché Dio sia glorificato per mezzo nostro! È da notare che l’OGMR non fa alcuna menzione di un canto finale. È solo una consuetudine ormai consolidata che vuole che a termine della celebrazione si faccia un canto. Con i “Riti di conclusione” terminiamo anche il nostro commento della celebrazione eucaristica secondo l’OGMR.

don Raymond Nkindji Samuangala, febbraio 2020
Assistente collaboratore Ufficio diocesano per la Liturgia e i Ministri Istituiti