Evviva la misericordia!

«Il cielo non è il museo delle cere»

«Noi che siamo ancora sulla terra ci chiediamo: “Possiamo conoscere la sorte dei martiri, dei giusti, dei santi, che nei loro giorni terreni hanno seguito il Signore Gesù?”». Una domanda che sgorga dal cuore di ogni uomo. «La risposta viene da quel grande affresco sinfonico che è l’Apocalisse», risponde il vescovo. «Che paradosso: a salvare è un Agnello trafitto, a sua volta immolato! È l’Agnello della Pasqua definitiva, il Risorto. Ecco, lui ha capovolto l’ineluttabile cammino verso la morte in un cammino di vita piena, che è per tutti quelli che lo seguono». Siamo ancorati ad una solida certezza: veniamo uniti, immeritatamente, alla vittoria dell’Agnello mediante il sacramento del battesimo, con cui diventiamo figli di Dio. «Il nostro futuro è segnato per l’eternità da questa identità». Parole incoraggianti in questi giorni di pandemia. Tuttavia, pensando ai cari che ci hanno lasciato continuiamo ad essere inseguiti da domande incalzanti: che ne è di loro, spariti dalla nostra vista? E a noi, cosa accadrà? «Se Dio, nel suo immenso amore, con patto irrevocabile, fa di noi i suoi figli, non può abbandonarci», rassicura mons. Andrea. «In Gesù vediamo a quale futuro ci porta l’appartenenza alla famiglia di Dio: “Saremo simili a Lui… lo vedremo come egli è» (1Gv 3,2): non è una fiaba!”». Durante la festa di Tutti i Santi il Vescovo ha aperto al nostro sguardo tre “squarci”: «Uno rivolto al passato che ci porta, come un fiore che sboccia sullo stelo, sostenuto da radici ancora vive e vitali; uno rivolto al futuro che ci entusiasma con la sua prospettiva di compimento e di gioia e uno ad un presente che ci impegna in concreto». Guardando al passato che ci porta, si apre l’orizzonte della santità: «La Chiesa è felice e fiera di mostrarci tutti i figli di Dio che hanno vissuto le beatitudini del Vangelo. «Sono quelli che hanno amato – precisa –, che hanno vissuto “il comandamento grande” (cfr. Mt 22,36-39). In questo assembramento di Cielo riconosciamo dei volti amati, che ancora adesso continuano a sostenerci con il loro amore e la loro preghiera. Non sono soltanto i grandi santi, ma anche le persone care che continuano ad esserci accanto. Il Cielo non è il museo delle cere». Guardando al futuro che ci entusiasma, impariamo a guardare oltre alle povertà dentro e fuori di noi, comprendiamo che «lo scopo della nostra vita non è rinchiuso nel presente e non è schiacciato nella sola dimensione materiale. La nostra vocazione è entrare in quella luce per la quale siamo stati creati». Ma la santità «non è appannaggio esclusivo di quelli che hanno concluso il loro cammino terreno. I santi sono nascosti all’interno delle nostre famiglie, delle nostre comunità, anche nei luoghi di lavoro, di studio e di sofferenza». «Tutti chiamati alla santità – incoraggia il Vescovo – nella situazione personale in cui siamo e nella situazione sociale in cui ci troviamo». E conclude: «Tocca a noi scrivere le pagine attuali della storia della santità, con i nostri slanci e le nostre fragilità, nelle cose grandi ma anche in quelle piccole, con i nostri gesti quotidiani di gentilezza, con la nostra fedeltà non priva di audacia per inventare l’avvenire» (Omelia nella Solennità di Tutti i Santi, Pennabilli, 1.11.2020).

Durante la Solenne Eucaristia in suffragio dei vescovi e dei sacerdoti defunti della Diocesi, mons. Vescovo ha accompagnato i presenti ad una lettura meditativa del celebre canto del Dies Irae, ricchissimo di riferimenti biblici. «Viene nominata Maria Maddalena, popolarmente identificata con la peccatrice, che bagna con le lacrime i piedi del Signore e li asciuga con i suoi capelli (cfr. Lc 7,36-38), viene nominato il buon ladrone (cfr. Lc 29,39-43) e poi, implicitamente, la Samaritana attesa da Gesù al pozzo (cfr. Gv 4,6-7)». «È come se l’autore di questo canto bellissimo ci dicesse: “Prendi con te questi fratelli; anzi di più: vediti in loro”», spiega mons. Andrea. «Queste figure evangeliche sono prospettate come esempi di chi ha beneficato della misericordia, giunta attraverso colui che il canto chiama Iesu pie: Gesù buono». Infatti, «chi all’inizio è presentato come un giudice inflessibile, nelle strofe successive viene sempre più identificato come Salvatore misericordioso». Esplode in modo aperto il contrasto: «Colui che dovrebbe condannare, in realtà è venuto al mondo per salvare!». Continuando nella riflessione, il Vescovo osserva che «un vertice del canto del Dies Irae si manifesta nel presentare il Signore stanco. Nella stanchezza si vede chiaramente «il pastore che corre sui monti a cercare l’unica pecora (cfr. Mt 18,12) e il Padre misericordioso che può soltanto attendere il ritorno del figlio prodigo (cfr. Lc 15,11-32)». «Non gli impedisce di andarsene da casa – nota con stupore –, non lo va ad acchiappare nelle discoteche del tempo: il giudice è paziente!». La sequenza che inizia chiamando in causa il giorno dell’ira, dies ìrae, dìes ìlla, termina evocando un tempo contraddistinto da tutt’altro clima: «Lacrimòsa dies illa». «È giorno di lacrime… solo per i dannati? No. L’autore sembra vedere misticamente le lacrime del Signore». «È indubbio che questa grande preghiera domanda misericordia anche per il “reo” – sottolinea il Vescovo –, anche per colui che canta questo inno: “Salva me con tutti i benedetti, i beati del Cielo». Non si può che concludere che fra giustizia e misericordia vince la misericordia. «Evviva la misericordia!» (Omelia nella Solenne Eucaristia in suffragio dei vescovi e dei sacerdoti defunti della Diocesi, Pennabilli, 6.11.2020).

Paola Galvani, dicembre 2020