Il denaro allontana da Dio? (Giugno 2017)

Economia ed Etica: introduzione alle Giornate della Politica. A chi non è capitato di trascorrere serate intere a giocare a Monopoli? Un gioco che scatena l’homo oeconomicus che è in noi. In tutti noi. Regole ferree, altrimenti il gioco non funziona. Combinazioni di fortuna e di abilità. Nel gioco del Monopoli non si guarda in faccia a nessuno e il conto è da pagare fino all’ultimo spicciolo. Qualche volta m’è capitato di provare spavento per il cinismo che mi saliva da dentro: gli affari sono affari! Questo gioco è una finzione per fortuna, nella realtà entrano in ballo altri fattori umanizzanti, come la solidarietà, il condono, la collaborazione. Aggiungo due figure che hanno colorato i nostri sussidiari: la figura dell’Avaro di Moliére che grida la sua disperazione: “Al ladro! Al ladro! Oh, il mio povero denaro, il mio caro amico; mi hanno privato di te. Sono senza il mio sostegno, la mia consolazione, la mia gioia”; l’altra, di Robin Hood che silenziosamente nella notte ruba ai ricchi per dare ai poveri. Giochi e letture di quando si era ragazzi, ma da adulti il tema della ricchezza e del denaro si fa complesso e appare in tutta la sua ambiguità. La ricchezza si impone alla coscienza come una potenza a volte benefica, altre volte diabolica. Per molti è un mezzo indispensabile per garantire il futuro, ma nel contempo può diventare una trappola.
L’argomento sarà oggetto di riflessione e di preghiera per le giornate che la Diocesi dedicherà, in giugno, agli impegnati nella Politica col titolo: Economia ed Etica. Queste brevi riflessioni costituiscono appena una introduzione. Partono da alcune domande: “Il denaro allontana da Dio? È un tentatore che chiude per sempre nell’egoismo? Ci si interroga sulle conseguenze delle scelte economiche? Ci sono esperienze virtuose in merito?”.
Il denaro può condurre ad un delirio di onnipotenza fino a rendere schiavi. Anche per un cristiano, la libertà non è garantita una volta per tutte, va conquistata giorno per giorno, confrontando l’esperienza di fede con le realtà economiche, sociali e politiche. La Parola di Dio mette in guardia dall’idolatria: il denaro può essere un buon mezzo, a condizione che sia messo al giusto posto.
Gli esperti ci dicono che talvolta una speculazione bancaria può peggiorare irrimediabilmente la situazione economica per milioni di persone. Ci sono mezzi per sapere in poco tempo l’impatto o la ricaduta che un’operazione finanziaria può causare perfino in altri continenti.
Paradossalmente, c’è una quantità enorme di soldi sulla terra. Le liquidità monetarie non sono mai state così abbondanti e tuttavia mai così mal ripartite e così improduttive perché bloccate da speculatori poco disposti ad “irrigare” l’economia reale. Siamo in piena parabola dei talenti. C’è chi li sotterra per paura dell’avvenire e per mancanza di fede e di fiducia nella Provvidenza. Altri – sono più rari – li fanno circolare nell’economia reale con investimenti a lungo termine, ad esempio nelle infrastrutture per l’energia pulita ed ecologica. Il Vangelo – l’abbiamo già detto – non condanna il denaro come mezzo, ma come fine. Invita finanzieri, dirigenti, politici, imprenditori ad osare e ad accettare la sfida di guardare lontano e di lasciarsi interpellare dalle esigenze del bene comune. Anche in questo ambito fede e vita non vanno disgiunte. Come per i servi fedeli della parabola, la missione del cristiano è di portare frutto, come l’agricoltore che semina fiduciosamente pur nell’incertezza del raccolto. “Il denaro è un buon servitore ed un pessimo padrone” (San Giovanni Bosco).
Conosco l’esperienza di una suora intraprendente che frequenta le periferie per soccorrere le persone in difficoltà e che bazzica, nel contempo, negli uffici di importanti imprenditori ed economisti. In questo momento di crisi economica e di crisi della speranza abbiamo la responsabilità di cercare soluzioni oltre gli individualismi, contestualmente alle leggi della finanza. Questa suora ha costituito un fondo per incoraggiare le congregazioni religiose a mettere in gioco i loro capitali per le loro iniziative di carità e di educazione. La sfida è dare al denaro la sua giusta utilità. La cosa ha suscitato perplessità, ma risponde né più né meno alla logica della parabola: questi investimenti non contraddicono la povertà, ma permettono di assicurare un avvenire alle suore e alle loro opere senza diventare un peso per la società. “Noi abbiamo offerto a Dio l’intenzione d’essere povere, non quella di sfruttare il nostro prossimo per questo” (Santa Teresa d’Avila). Ci sono persone più povere di noi, ma nel contempo possiamo essere “ricchezza per loro”: investire per donare. Il dono è un gesto che esprime la fede al pari della preghiera e del digiuno. La “cultura del dare” è una dimensione importante dell’educazione e diviene luogo di conversione.
Oltre a questa esperienza, dovrei a questo punto presentare i modelli economici della banca etica e soprattutto dell’economia di comunione, nuovi modi di fare impresa ben distanti da una visione meramente capitalistica e collettivistica dell’economia (ma di questo si parlerà in altra occasione).
Nell’Antico Testamento la ricchezza è vista come segno della benedizione di Dio: “È buona se è senza peccato”. Dio non sopporta la miseria dei suoi figli. Gesù dirà: “Beati i poveri”, non perché poveri, ma perché hanno Dio dalla loro parte. Nella lingua ebraica la parola denaro e la parola desiderio hanno la stessa radice: denaro e desiderio possono migliorare la nostra condizione di esseri umani e aprire, ben indirizzati, nuovi orizzonti, ma, senza controllo, possono portare alla rovina. Non dimentichiamo tuttavia l’avvertimento del Signore: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno di Dio”. Per il cristiano il Regno di Dio è un valore assoluto, tutto il resto è subordinato a questo.
+ Andrea Turazzi