Il “Padre nostro” e l’Amen finale

Domanda:
Al momento della preghiera del Padre Nostro vedo che alcune persone allargano le braccia come il sacerdote, mentre altre pregano a mani giunte. Qual è il modo corretto per un fedele che partecipa alla Santa Messa? Perché la preghiera del Padre Nostro durante la celebrazione eucaristica non si conclude con la parola “Amen”? (Luca)

Cercherò di rispondere all’ultima parte della domanda, rimandando la risposta alla prima parte a quanto già scritto sul Montefeltro, ottobre 2019. Come tutte le parole aramaiche giunte fino a noi, Amen è una espressione ricca di significati non sempre facili da tradurre nelle nostre lingue.
Quando la si pronuncia si proclama che si considera vero quello che si è appena detto, che lo si ratifica. Significa anche che si è d’accordo con quanto espresso. Per tutti questi motivi, Amen era la modalità partecipativa più utilizzata nei primi secoli durante le celebrazioni e le preghiere comunitarie.
È una parola che si usa sempre per concludere le preghiere della Chiesa, ma la preghiera del Signore, il Padre Nostro, non si conclude con l’Amen quando si recita alla fine della Messa. Quale ne è la ragione?
La spiegazione generale che viene data è che non si dice “Amen” perché la preghiera non è ancora terminata. Infatti, dopo che l’assemblea ha concluso dicendo “liberaci dal male”, anziché dire “Amen” il sacerdote continua da solo con ciò che si chiama “embolismo”: è una preghiera che raccoglie e sviluppa la preghiera precedente, ossia l’ultima richiesta del Padre Nostro (liberaci dal male) e continua dicendo: “Liberaci, o Signore, da tutti i mali …”.
E il popolo risponde con un’antichissima acclamazione, la cui origine si perde nei primi secoli della storia della Chiesa: “Tuo il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli”. Troviamo già questa acclamazione in un breve trattato del primo secolo, che presenta la preziosa dottrina attribuita agli Apostoli e chiamato Didachè. Il capitolo VIII tratta del Padre Nostro che si conclude non con l’Amen ma con appunto l’acclamazione “perché tua è la potenza e la gloria nei secoli”. Ciò che è interessante è che Didachè sostituisce la preghiera quotidiana ebraica, tre volte al giorno, con il Padre Nostro e prescrive: “Pregate così tre volte al giorno”. Si tratta quindi di una preghiera fatta al di fuori della celebrazione eucaristica e che si conclude non con Amen ma con l’acclamazione “Perché tuo è il regno…”.
Ciò significa che nel primo secolo non si dice Amen al termine del Padre Nostro non solo quando viene recitato durante la Messa ma sempre, anche se il Catechismo della Chiesa Cattolica, rifacendosi alla tradizione tardiva del sec. IV (cf. S. Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogica, 5, 18), dice di concludere con Amen, senza tuttavia specificare se al di fuori o durante la Messa (Cf. CCC, n. 2865). Occorre notare che il Catechismo parla dell’Amen dopo aver trattato della “dossologia finale: Perché tuo è il regno…”, come se Amen dovesse essere detto dopo questa dossologia. Ciò ricupererebbe la prassi antica di cui abbiamo parlato prima. Ma la domanda rimane: Perché non dire Amen dopo il Padre Nostro? L’unica spiegazione secondo la quale sancirebbe la fine della celebrazione mentre essa è ancora in corso non sembra sufficiente. Anche perché prima e dopo il Padre Nostro si dice Amen in altri momenti della celebrazione, senza significare con ciò che essa sia finita. E sé, allora, semplicemente la Chiesa volesse dire ai suoi figli, come S. Paolo, “Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” (cf. 1 Cor 11,23)? È l’unica preghiera che la Chiesa ha accolto dal Signore secondo la testimonianza dei vangeli e come tale, ossia testo biblico, la trasmette con fedeltà!

don Raymond Nkindji Samuangala, luglio-agosto 2021
Assistente collaboratore Ufficio diocesano
per la Liturgia e i Ministri Istituiti