Il seme della Parola

Arcabas, Il seme, opera tratta dal ciclo I Pellegrini di Emmaus (1993-1994) chiesa della Resurrezione, Torre De’ Roveri (BG)
Abbiamo lasciato i due discepoli di Emmaus lungo la strada, con quello «straniero» che, da loro tacciato di non conoscere gli eventi di Gerusalemme, mostra invece di sapere moltissimo. Mostra di avere una lettura profonda della Parola di Dio. Così quella lectio divina magistralis, quel continuo rimbalzare della Parola di Dio negli eventi della vita di Gesù fu, per i due pellegrini in cammino, un’effusione dello Spirito Santo. Il cuore oscurato dalle paure, chiuso nel risentimento per aver visto deluse le proprie attese (“Noi speravamo fosse lui a liberare Israele”), il cuore serrato in orizzonti umani, limitati, si apre, grazie alla Parola di Cristo, ad accogliere il seme della verità. Mediante lo Spirito «l’uomo può arrivare nella fede a contemplare e gustare il mistero del piano divino»; anzi, «dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (Redemptoris Missio, 28). Arcabas pone fra il momento dell’incontro dei due discepoli di Emmaus con Cristo e il momento della sosta nella locanda, un’opera singolare, apparentemente astratta. L’opera ha invece il potere di farci entrare nelle misteriose dinamiche del cuore. Siamo dentro la terra oscura dell’umanità dei discepoli; siamo entrati con il passe-partout della Parola di Dio, destinata ad aprire le coscienze e a preparare gli animi a ricevere il Verbo di Dio stesso, fatto carne. Sotto a un cielo dorato, segno del Mistero che tutto avvolge, del quale tuttavia non se ne scorge che una striscia, una zolla di terra nera si apre al seme. Sono state proprio le parole della Tanak, della scrittura ebraica, capace di rileggere e interpretare l’avvenimento di Cristo, ad operare lo scavo. Lettere e frammenti della Parola, infatti, ancora si possono intravedere nella terra smossa. Alcune sono nere, più nere della terra stessa, altre sono azzurre e sembrano più delle altre, comunicare il Mistero. Tutta, la Parola, infatti, è ispirata e atta a insegnare, ma alcuni brani, alcuni episodi della Bibbia, lo sono più di altri. i più iridescenti sono quelli che prefigurano la croce, la passione di cristo, l’Eucaristia. così dentro a quella ferita scavata nella terra dalla Tanak, penetra il cielo stesso: la bellezza inusitata del Verbo fatto carne, fatto croce. L’oro del cielo irradia l’oscurità del suolo, così come la comprensione del piano divino, misterioso, fatto di croce, rischiara pian piano le menti dei due viandanti delusi.
Ecco la missione! Raggiungere l’uomo nelle sue profondità, nelle sue ferite, nelle sue delusioni più cocenti e fargli abbracciare proprio lì, nel profondo, la Presenza di Cristo: pellegrino con lui nel buio dei secoli, vilipeso come lui, ferito come lui, ma diversamente da lui, vincitore. Nel luogo intimo della solitudine non ci sono discriminazioni, differenze sociali, culturali o religiose: laddove l’uomo è solo, la sofferenza è la medesima, il senso di fallimento e di inadeguatezza è identico e le attese di rinascita e di liberazione sono le stesse. Così la missione è aperta a tutti, anche a coloro che si mostrano apparentemente ostili ad approcciare la fede: la Chiesa sa che l’uomo, «sollecitato incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto indifferente al problema della religione», e «avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, della sua attività e della sua morte» (RM, 28). Certo, l’annuncio richiede discrezione e rispetto. Pur essendo franche e aperte le parole di Gesù: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!», Egli lascia intatta totalmente la libertà dei suoi compagni di cammino: «Egli fece come se dovesse andare più lontano». Gesù, cioè, mostra loro di avere altre mete, rassicura di non preoccuparsi per lui, lascia supporre la gratuità della sua compagnia. Cosicché essi liberamente, e solo liberamente, lo pregano di fermarsi. La missione, dunque, mira a suscitare la domanda, non a dare risposte preconfezionate. cristo ha raggiunto i discepoli là nella loro delusione, nella loro confusione, ma non li ha lasciati dove erano. Con pazienza e amore li ha accompagnati verso la speranza. Troppo spesso i nostri discorsi scadono nell’indagine sociologica, nelle teorizzazioni umane di avvenimenti e comportamenti; simili discorsi non possono avere la forza persuasiva di scavare nel cuore umano, rimangono alla superficie. Non si tratta di essere accomodanti con le realtà lontane dalla fede o dai principi cristiani, ma nemmeno di lanciare strali contro di esse. Si tratta di seminare la Parola di Dio. Scriveva Carlo Maria Martini in una sua lettera Pastorale: “In Principio la Parola: contro la tendenza a spegnere fermenti di vita, bisogna con la forza della Parola risuscitare i morti, ridare memoria e speranza. In un’epoca di disperati e senza senso, di smarriti in un universo che sembra spegnersi, solo la Parola dura in eterno, supera e salva ciò che muore”. Ritornare alla lectio divina, tentare di rileggere la storia alla luce della Parola di Gesù, offre risorse inusitate e irrobustisce la nostra fede nella certezza che, per mezzo della sua Parola Eterna, Egli opera sempre attraverso le nostre brevi parole umane.

suor Maria Gloria Riva, novembre 2020