La benedizione con l’Evangeliario (Febbraio 2019)

Prima di passare alla risposta del popolo alla Parola di Dio soffermiamoci su un gesto diventato abituale nelle celebrazioni presiedute dal Vescovo, e non: la benedizione dell’assemblea con l’Evangeliario dopo la proclamazione del Vangelo o la “presentazione” del Lezionario all’assemblea in altre celebrazioni. È un rito di tradizione orientale entrato nella liturgia romana di recente con il Papa San Giovanni Paolo II. Si può capire che essendo il Santo Papa di quella cultura egli sia stato sensibile a tale simbologia. E come è successo nei secoli per altri casi, dalla liturgia romana questo rito si è diffuso nelle altre diocesi da parte dei vescovi, senza tuttavia esplicite preclusioni. Il rito è entrato ufficialmente nella liturgia romana soltanto nell’anno 2000 con la pubblicazione dell’Evangeliario da parte della Congregazione per il culto divino (cfr. Introduzione, 37). Contemporaneamente è stato inserito anche nelle Premesse alla terza edizione tipica del Messale romano dove, nella traduzione italiana, si legge: “Nelle celebrazioni più solenni il Vescovo, secondo l’opportunità, imparte al popolo la benedizione con l’Evangeliario” (OGMR 175). Mentre nel rito bizantino questa modalità di benedizione può essere compiuta anche dal presbitero, nella liturgia romana sembra essere riservata al vescovo. Non ci sono spiegazioni ufficiali che giustifichino la riserva. Il dubbio potrebbe essere risolto consultando i verbali della commissione che ha lavorato alla formulazione di questo numero delle Premesse al Messale. Sembra, tuttavia, aver influito il fatto che nell’antica tradizione romana l’Evangeliario era riservato alle celebrazioni pontificali, presiedute cioè dal vescovo. Forse si è anche voluto sottolineare lo stretto rapporto fra l’annuncio evangelico e la figura del vescovo (cfr. Pontificale Romano, Ordinazione del Vescovo, 26). In ultimo si può anche pensare, come lo vorrebbe qualcuno, che si sia voluto evitare il logoramento di questo rito come pure la sua banalizzazione cedendo alla tentazione di usare per questa benedizione il Lezionario. Ci si può chiedere, tuttavia, se queste ragioni siano così contingenti e vincolanti da escludere il ministro del Vangelo dall’utilizzo di questo rito. Almeno non come gesto di benedizione, che rimarrebbe riservato al Vescovo, ma come ostensione, non dell’Evangeliario né del Lezionario, nel caso in cui non si è in possesso dell’Evangeliario, ma del libro aperto sul brano del Vangelo appena proclamato. In tal modo il ministro, con un gesto di ostensione, presenterebbe alla venerazione dei fedeli la “Parola del Signore” appena proclamata, così come vengono presentate alla stessa venerazione le specie consacrate del pane e del vino in un gesto di ostensione. Quindi il libro dovrebbe essere aperto sulla pagina del Vangelo e girato verso il popolo. Questo rito potrebbe essere accompagnato dalla ripetizione del canto alleluiatico, o altra acclamazione, così come si fa quando il diacono dall’ambone riporta processionalmente l’Evangeliario al Vescovo. Non sarebbe una banalizzazione del gesto, così come non lo è mai l’ostensione delle sacre specie del pane e del vino. Verrebbe a far parte di quel insieme di riti e gesti destinati a favorire una più grande considerazione e venerazione della Parola del Signore da parte dell’assemblea.
don Raymond Nkindji Samuangala
Assistente collaboratore Ufficio diocesano per la Liturgia e i Ministri Istituiti