La Chiesa è in cammino: questo fa la santità (Novembre 2019)

Stampa, media, convegni, social riportano quotidianamente dibattiti e conflitti, secondo alcuni addirittura dilanianti, all’interno della Chiesa. Se ne fa un gran dire. Anche in casa nostra il fatto ha le sue ripercussioni. Si parla di tensioni nella Chiesa, meno drammaticamente di sensibilità diverse a confronto, di fedeltà alla tradizione in risposta alle avanguardie, di impegno per le povertà, i profughi e l’ambiente, piuttosto che per i temi etici. C’è chi ne patisce, chi ne è scandalizzato e chi si chiede come vivere responsabilmente questo tempo. Ritorna l’icona provocatoria della caduta di Paolo da cavallo secondo la narrazione del Caravaggio: la Chiesa atterrata. «L’immagine del cavallo – scrive Sveva della Trinità (cfr. penultimo numero del “Montefeltro”) – porta con sé un certo trionfalismo, autocompiacimento, nel peggiore dei casi presunzione e boria. Il cavallo è la cavalcatura di chi domina… Gesù fa il suo ingresso in Gerusalemme su un puledro d’asina». Allora, bene l’asino; meglio ancora “il cavallo di san Francesco” (andare a piedi; ndr). «Se però si vuol procedere a cavallo, la caduta sulla via di Damasco, coincide con la conversione, la svolta, il cambiamento radicale. Ben vengano – conclude Sveva – le cadute allora, anche tutti i giorni!». Di tensioni nella Chiesa ce ne sono state in ogni secolo. Già negli Atti degli Apostoli, lo scritto neotestamentario degli inizi, si parla testualmente di “conflitto e dibattito”, che vedono coinvolti le tre grandi figure del cristianesimo nascente (Pietro, Paolo, Giacomo) e orchestrano la convergenza dei due poli dell’evangelizzazione cristiana (Gerusalemme e Antiochia). “Conflitto e dibattito” portano all’incontro di Gerusalemme – impropriamente chiamato “Concilio” – vertice strutturale del libro degli Atti. Il racconto si trova esattamente al centro del libro e segna lo spartiacque nella vita e nella missione della Chiesa. Siamo al capitolo 15. La questione dibattuta costituisce la principale difficoltà che il cristianesimo dell’inizio deve affrontare: come gestire la relazione fra l’eredità ebraica e la novità cristiana? Dilemma drammatico. Schieramenti imbarazzanti. Fatica del discernimento. Sulla questione, alla fine, splende ancora la luce della Pentecoste: la presenza dello Spirito a cui si appellano i cristiani della prima ora, battaglieri e credenti. Ci sono state epoche nelle quali l’edificio della Chiesa (struttura, credibilità, fedeltà al Vangelo) è stato segnato da crepe profonde, verticali e trasversali. «Va’ e ripara la mia Chiesa»: furono le parole del Crocifisso che segnarono la missione di Francesco d’Assisi. Le Fonti Francescane riportano il celebre sogno di papa Innocenzo III, immortalato nell’affresco di Giotto: «La basilica del Laterano stava per crollare e un religioso piccolo e spregevole, la puntellava con le spalle, perché non cadesse. Ecco, pensò: “Questi è colui che, con l’azione e la parola, sosterrà la Chiesa di Cristo”» (FF, 2 Cel 17:603). Oggi sono particolarmente pungenti le resistenze all’indirizzo che papa Francesco sta imprimendo alla Chiesa. Il suo è un punto d’osservazione mondiale. Sta portando molti frutti di conversione e di avvicinamento alla Chiesa. Attua un programma rigorosamente evangelico, fresco e trasparente, che continua a stupire per la novità del linguaggio e dei gesti che l’accompagnano: rottura di schemi e autorevolezza. Papa Francesco è il Pietro che il Signore ha dato alla Chiesa per questo tempo. Ne consegue l’adesione incondizionata e schietta alla sua persona, al suo servizio e al suo magistero. Ecco, come evitare il disorientamento. Papa Francesco ci sta insegnando ad affrontare le patologie che hanno fatto e fanno soffrire la Chiesa – vedi lo scandalo degli abusi – senza reticenze, con attenzione mirata e concretezza: auscultazioni, interventi chirurgici, cure e convalescenze. Nonostante la crisi tanti credono ancora nella Chiesa. Apprezzano la determinazione nella purificazione e la perdita dell’ansia del potere. La Chiesa è in cammino ed è questo che fa la sua santità. Chi ha vissuto la guarigione testimonia come anche la Chiesa possa ritrovare la sua bellezza. Certo, le vien chiesto di dare priorità ai suoi membri, ai membri umiliati e feriti, dimenticandosi di sé. È responsabilità di tutti partecipare al divenire della Chiesa. Questa chiamata entusiasma, matura i laici e fa ritrovare ai preti, pur diminuiti di numero, la gioia della loro missione. Che gli sguardi che li incrociano sappiano trovarvi il volto dell’uomo di Dio. Ci si chiede: come abitare questo tempo? Concludo così: coltivare la consapevolezza della presenza vivificante e giovane dello Spirito di Gesù, ascoltare i profeti e far loro credito, stare uniti a colui che tiene il timone della barca!
+ Andrea Turazzi