La danza dei contadini (Settembre 2019)

Pieter Bruegel il vecchio, La danza dei contadini, 1568 ca. (114 x 164 cm), olio su tavola, Kunsthistorisches Museum, Vienna
Non entra nell’elenco dei mesi ma da alcuni indizi potrebbe essere una festa settembrina. La danza dei contadini è spesso associata ad altre due opere: la danza nuziale o la danza nel giorno di san Martino. Qui però non pare una festa di nozze e nemmeno si tratta di una danza ambientata nell’autunnale novembre, questa è certamente una festa patronale. I contadini in settembre si possono concedere tempi di riposo dopo la mietitura e prima della semina. Così, con la sua capacità narrativa, Bruegel registra il riversarsi festoso di uomini, donne e bambini in piazza in occasione della festa del patrono. Domina l’orizzonte la chiesa con la casa canonica, una presenza serena che custodisce il villaggio brulicante di vita. Ma dentro questo apparente indagare del cronachista, interessato più ai costumi e agli interessi degli uomini che ai loro pensieri e ai loro sentimenti, ecco emergere dentro i particolari un senso morale e un giudizio acuto. Una coppia in primo piano giunge in ritardo. Si comprende che il governo della casa (e forse del marito) lo impugna la moglie, tanto è evidente la piccola bisaccia con i soldi e le chiavi di casa che rimbalzano sulla sopravveste. L’uomo, da par suo, rivela l’obiettivo principale della sua partecipazione, non la danza ma il cibo: ha infilato, infatti, il cucchiaio nel cappello per essere certo di poter attingere alle cibarie, nonostante il ritardo. Conviene correre perché a terra il manico rotto di una pentola di terracotta denuncia che il gioco della pignatta è finito e il suo contenuto è già stato spartito tra i vincitori. Accanto al manico ecco quel che resta delle noci (che proprio a settembre iniziano a maturare), proverbiale cibo dei banchetti migliori, specie nuziali. (In alcuni dialetti del nord Italia resta questa reliquia contadina: “pan e nus mangià da spus”, ovvero pane e noci cibo da sposi). Oltre i due s’intravedono coppie danzanti e sullo sfondo altri personaggi pacifici e composti. Una quercia, simbolo di saggezza e di eternità, protegge questo gruppo e reca quale trofeo una piccola edicola mariana che qualche pia donna ha omaggiato con fiori. Ma anche la festa più sacra e più innocente può degenerare e il lato sinistro dell’opera racconta con minuzia tale declino. Un giullare con il classico costume bicolore sta invitando tutti ad avvicinarsi alla locanda del vizio. Un uomo c’è cascato e, adescato dalla ostessa, sta entrando. Svetta dalla finestra della locanda un’insegna che forse ha a che fare con la festa stessa ma che suona come un richiamo ambiguo. Infatti, sul tetto di questa locanda e su altri tetti, si vedono quaglie simbolo, per il loro suono lugubre, di sfortuna. La caccia delle quaglie è aperta da metà agosto fino a tutto settembre, quando cioè sono numerose, e ucciderle porta sfortuna. Le loro uova, invece, sono considerate energetiche, aumentano la potenza sessuale e la quantità di latte nelle puerpere. La loro presenza è dunque fortemente simbolica e denuncia la vera natura di quella apparentemente innocua locanda. In primo piano a sinistra uomini con i boccali in mano sono in preda ai fumi dell’alcool. Una donna sta seducendo uno di loro e, più dietro, una coppia si bacia davanti a tutti. L’uomo ritardatario con la moglie, ci accorgiamo solo ora, è catturato dalla scena dello zampognaro (altro simbolo negativo legato alla miseria) che accoglie le confidenze di un giovane ubriaco. L’avvertimento è chiaro: non c’è vacanza per la fede, ma il senso religioso dovrebbe permeare tutta la vita, anche il divertimento. Diversamente si cade facilmente nel laccio dei facili costumi trascinando dietro di sé anche i più piccoli e gli innocenti. Il vero primo piano del lato sinistro è costituito, infatti, da una bimba che, condotta da una ragazzina, sta imparando a ballare. Sono due figurine fuori scala rispetto al suonatore, quasi a denunciare la sproporzione tra ciò che per le bimbe è un gioco innocente e la degenerazione alla quale, a motivo dell’esempio degli adulti, esse rischiano d’esser condotte. Insomma per Bruegel, la festa del santo, che dovrebbe rappresentare un rimando alle cose ultime e al destino eterno dell’uomo e quindi all’impegno serio circa la vita presente, si trasforma in una evasione senza freni dalla realtà e dalla responsabilità e mentre la morte si avvicina l’uomo balla e la Fede non incide più sulla sua coscienza.
suor Maria Gloria Riva