“La speranza: una corda tesa all’altra riva”

Abbiamo da poco celebrato la solennità di Tutti i Santi, la quale «ci ricorda che siamo tutti chiamati alla santità. Il seme della santità – sottolinea il Papa – è proprio il Battesimo. Si tratta perciò di maturare sempre più la consapevolezza che siamo innestati in Cristo, come il tralcio è unito alla vite, e pertanto possiamo e dobbiamo vivere in piena comunione con Dio, già adesso. La santità diventa così risposta al dono di Dio, perché si manifesta come assunzione di responsabilità. In questa prospettiva, è importante assumere un quotidiano impegno di santificazione nelle condizioni, nei doveri e nelle circostanze della nostra vita, cercando di vivere ogni cosa con amore, con carità. Ci accompagna in questo Maria, la nostra Madre santissima, con la sua materna intercessione, segno di consolazione e di sicura speranza» (Angelus, 1 novembre). E proprio sulla Speranza il Pontefice ha speso numerose parole: «La speranza – come la parola stessa designa nell’ebraico Atikva – è come buttare l’ancora all’altra riva e attaccarsi alla corda», vivendo cioè «protesi verso la rivelazione del Signore, verso l’incontro con il Signore. Se un cristiano perde tale prospettiva – ha avvertito il Santo Padre – la sua vita diventa statica e le cose che non si muovono, si corrompono». «La speranza ha bisogno anche di pazienza: la pazienza di sapere che noi seminiamo, ma è Dio a dare la crescita» (Santa Marta, 29 ottobre). «La speranza – prosegue il Papa – è anche frutto maturo di una lotta tra il bene e il male: non un bene astratto e un male astratto: fra il bene che lo Spirito Santo ci ispira di fare e il male che ci ispira il cattivo spirito di fare». «Se qualcuno di noi dicesse: “Ma, io non sento questo, io sono un beato, vivo tranquillo, in pace, non sento”… io direi: “Tu non sei beato; tu sei un anestetizzato, uno che non capisce cosa succede (dentro di sé)”» (Santa Marta, 25 ottobre). Ricordando poi le tante vittime odierne della persecuzione contro i Cristiani, il Pontefice ha dichiarato che «questi cristiani che vivono nelle mani di Dio, sono uomini e donne di speranza» (Messa alle catacombe di Priscilla, 2 novembre). Infatti «l’identità del cristiano è questa: le Beatitudini. La nostra identità dice che saremo beati se ci perseguitano, se dicono ogni cosa contro di noi; ma se siamo nelle mani di Dio piagate di amore, siamo sicuri. Questo è il nostro posto» (2 novembre). Questo invito di Gesù «si basa interamente sulla fedeltà di Dio, che è il Dio della vita» (Angelus, 10 novembre). Di fronte alla domanda circa chi apparterrà la nostra vita, se «apparterrà al nulla, alla morte, Gesù risponde che la vita appartiene a Dio!» (10 novembre). «Non c’è cuore umano – ribadisce il Papa – in cui il Cristo non voglia e non possa rinascere. Nessuno, per quanto sia ferito dal male, è condannato su questa terra ad essere per sempre separato da Dio. A volte si possono incontrare diffidenze e ostilità, ma bisogna custodire la convinzione che a Dio bastano tre giorni per risuscitare suo Figlio nel cuore dell’uomo. Solo così possiamo crescere nella fede nel Mistero Pasquale» (San Giovanni in Laterano, 9 novembre). In occasione dell’incontro con i responsabili della pastorale carceraria il Santo Padre ha accusato come «si destinino grandi quantità di risorse pubbliche a reprimere i trasgressori invece di ricercare la promozione di uno sviluppo integrale delle persone che riduca le circostanze che favoriscono il compimento di azioni illecite». Questo perché «è più facile reprimere che educare e direi che è anche più comodo». Invece «non c’è una pena umana senza orizzonte e nessuno può cambiare vita se non vede un orizzonte» (8 novembre). Si è svolto infine il III Congresso Internazionale Chiesa e Musica, in occasione del quale il Pontefice ha messo in evidenza che «la bellezza, la musica, l’arte ci permette di conoscere della realtà di Dio. E forse mai come nel nostro tempo gli uomini e donne ne hanno tanta necessità» (9 novembre).

Monache dell’Adorazione eucaristica – Pietrarubbia, dicembre 2019