L’aurora pasquale e le nuove sfide

Fenomeni emergenti: la frontiera della missione oggi in terra di Montefeltro. «Molte sono le idee nella mente dell’uomo, ma solo il disegno del Signore resta saldo» (Proverbi 19,20): una profezia che ci rende pensosi e umili circa le nostre ansie progettuali. Woody Allen, in modo piuttosto ironico, aggiunge: «Se vuoi far ridere Dio, raccontagli i tuoi progetti». Arriva il Coronavirus e, tra le tante e gravi conseguenze, combina anche quella di sabotare la traccia del nostro cammino sinodale. Saltano appuntamenti, iniziative, convegni. Poca cosa – si dirà – rispetto al resto. Ma resta quel che sta a monte ed è più importante, “a prova di virus”: la comunione nella quale il Signore ci ha uniti, ci ha fatto sua famiglia e ci fortifica. Ho chiesto ad un’amica di scrivere una nota sul Programma pastorale diocesano in corso: «A che punto siamo del cammino?». Ha rinunciato a scrivere. La risposta è stata negativa non per mancanza di tempo e di voglia, semmai – mi è parso di capire – per la poca concretezza del programma, per gli scarsi risultati e per la dimensione squisitamente personale delle proposte. Se davvero è così, occorre far meglio per il futuro, cominciando dalla “postura” necessaria nell’individuare e nello stendere mete ed obiettivi. Occorre anzitutto mettersi in ginocchio: «Signore, illumina la tua Chiesa; apri cuore e intelligenze alla tua volontà»; poi, stare in ascolto della realtà, cogliendo i segni dei tempi, le esigenze concrete e intercettando la vita reale; coinvolgere persone e risorse, mettendo i fratelli in condizione di esprimersi, facendo circolare riflessioni e talenti; verificare sapientemente il cammino fatto senza tacere i punti critici. Infine, decidere camminando davvero insieme. Il cammino ci ha condotti alla meraviglia della sorgente battesimale, ai suoi bagliori, agli indistruttibili legami che genera e alle istanze di una rinnovata pastorale della iniziazione cristiana. Cose, queste, non per addetti ai lavori, ma sfida per tutti: prendere consapevolezza del Battesimo, non solo come rito suggestivo, ma fondamento della vita e della missione cristiana. Mi piace ripensare il percorso attraverso il quale siamo approdati a questa aurora. Permettetemi uno sguardo sintetico, ma non privo di commozione. Il Convegno della Chiesa italiana (Firenze 2015), sotto la spinta del documento programmatico di papa Francesco, Evangelii Gaudium, ha spostato il baricentro dai tre ambiti classici, catechesi, liturgia, carità (mai da dimenticare), alle “voci del Verbo”: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Verbi all’infinito che aprono prospettive, avviano processi, reclamano missionari, invocano più Vangelo. Il cuore del Vangelo non è l’etica, sia pure elevata né l’arte del buon vivere, ma la persona stessa di Gesù Cristo. Qualcuno, ponendosi in una prospettiva storica, si è interrogato sul “dopo Gesù”. Gesù, sottratto allo sguardo dei discepoli, si sarebbe congedato dalla storia. Con l’invio solenne agli apostoli avrebbe ceduto a loro la sua eredità; così sarebbe nata la Chiesa. Niente di più fuorviante: il “dopo Gesù” è ancora più colmo della sua presenza. La risurrezione, l’effusione del suo Spirito, il dono dei Segni sacramentali, insieme alla Parola, assicurano e manifestano l’efficacia della sua presenza. Nell’ottica pasquale abbiamo gustato, pastori e fedeli, la rilettura degli Atti degli Apostoli. Ci siamo sentiti contemporanei, fino all’audacia di aggiungere un capitolo ai 28 che raccontano “il cratere di fuoco” (R. Guardini) che fu l’esperienza della comunità apostolica. Nel giro di trent’anni il bacino del Mediterraneo si trapuntò di piccole comunità di discepoli. Comunità composte da persone comuni («non ci sono tra voi molti nobili, molti sapienti, molti potenti», 1 Cor 1,26) che Paolo chiama, senza esitazione, «santi e amati», «viventi tornati dai morti»… ma senza idealizzarli o farne una élite. Sono comunità segnate da problematiche, incongruenze e divisioni. Abbiamo fatto qualche prelievo dalla Prima Lettera ai Corinti. Commovente vedere lo sbocciare di una Chiesa locale viva e ricca di carismi, nella città tra le più corrotte dell’impero; san Paolo la conosce bene: è rimasto a Corinto per quasi due anni. Uno scenario improbabile per «la Chiesa di Dio che è in Corinto» a cui Paolo indirizzerà l’Inno alla carità, a cui svelerà la dignità d’essere Corpo del Signore, a cui affiderà il kerygma. Abbiamo inteso il kerygma (annuncio accompagnato dalla potenza dello Spirito) come impegno primario, senza reticenza: «Gesù è vivo, ci è vicino e ci salva». Inevitabile la domanda: abbiamo fatto questo incontro col Signore risorto? È sufficiente un’emozione o uno sforzo volontaristico perché accada l’incontro? È necessaria la fede: dono e decisione.
È tornato infinite volte l’aforisma di Leone Magno: «Tutto ciò che fu visibile del nostro Redentore è passato nei segni sacramentali». Il Battesimo è il primo dei segni sacramentali, da considerare sempre in connessione con la Pasqua: rende figli di Dio, riveste di Cristo, genera fratelli. Ora ci attende un compito appassionante e non dilazionabile: condividere la gioia del Vangelo, proposta di una fede vissuta nel quotidiano. Ciò comporta anzitutto ascoltare il grido del nostro popolo, camminare accanto, dialogare e offrire risposte circa i “fenomeni emergenti” che mettono in questione il nostro compito missionario (la nostra pastorale). La Conferenza Episcopale Italiana ci sta segnalando queste emergenze: la crisi dell’umano (cioè il modo di concepire ciò che propriamente è umano), l’esperienza religiosa senza Dio (vivere “perbene” come se Dio non ci fosse), l’impatto della rivoluzione digitale (a confronto con le nuove forme della comunicazione). Tutto questo potrebbe costituire la piattaforma per il rilancio del Programma pastorale dei prossimi anni.

+ Andrea Turazzi, aprile 2020