Consolare gli afflitti e consigliare i dubbiosi (Luglio e Agosto 2016)

James Tissot, I pellegrini di Emmaus in cammino (1886-1894), acquarello opaco e grafite e su carta grigia 18,9×27 cm, Brooklyn Museum, New York

C’è un episodio della vita di Gesù, famosissimo, che fotografa in un solo diaframma due opere di misericordia spirituale: consolare gli afflitti e consigliare i dubbiosi. Tale episodio è l’incontro del Risorto con i discepoli di Emmaus. Commentato in mille modi e guardato sotto mille sfaccettature, rivisitare l’evento con la lente della misericordia è affascinante. Gesù incontra due suoi discepoli che, di fronte alla crocifissione del loro maestro, fuggono delusi, scoraggiati, addolorati. Cristo si fa prossimo a loro nei panni di un viandante e si mette a conversare, facendo fare loro un viaggio ben più lungo di quelle due miglia che li separano da Gerusalemme, fa percorrere loro tutta la Scrittura insegnando tutto quello che si riferiva al Messia e che essi mai avevano considerato. Tra le migliaia di opere che raffigurano la scena di Emmaus non sono molte quelle che ritraggono il momento del cammino. Più spesso è invece fotografato il momento della cena, quando Gesù si rivela ai due allo spezzare del pane. Tra le poche opere che ritraggono Cristo in cammino vi è quella di Tissot, autore inglese che dedicò parte della sua vita a dipingere scene del Vangelo. Per essere fedele al dettato biblico, Tissot si recò persino in Terra Santa disegnando gli scorci e i paesaggi al fine di restituire alle persone la verità storica degli ambienti e della natura che avevano visto Gesù in azione. Così Tissot affonda il camino dei viandanti di Emmaus in un paesaggio colmo di ulivi argentei, lungo una strada sassosa. I due pellegrini, Cleopa e l’amico sono visibilmente amareggiati. Il primo, vestito di rosso-mattone non nasconde la sua sofferenza. È colto quasi nell’atto di imprecare verso il cielo per tutto quello che era accaduto, rabbia e delusione compaiono sul suo volto. L’abbigliamento stesso di questo discepolo rimanda al fuoco e alla terra e il bastone è sottile e nodoso. Tali elementi rimandano alla sofferenza la quale, come fuoco purifica, come umiliazione riporta all’humus, alla terra e, infine, con le sue nodosità sferza l’uomo. Insomma, costui è l’uomo sofferente, incapace, forse, in quel momento di sopportare alcun discorso, per questo Cristo gli appoggia semplicemente la mano sulla spalla per confortarlo. Il gesto semplice è taumaturgico: toccare, abbracciare chi soffre, non dà risposte ma restituisce una presenza, dice all’altro «io ci sono». Così Cristo c’è e c’è con la forza trascinante del suo Spirito. Quella mano appoggiata sulla spalla del discepolo, consola, nel senso forte di consolidare nel cammino e nella verità più profonda degli avvenimenti della vita, quella che a chi soffre talora sfugge.
L’altro discepolo veste di bianco, esattamente come Cristo. Il bianco è il colore della morte e s’indovina, per il gesto del portare la mano alla tempia, che la fine del Cristo è stata per quest’ultimo una tragedia. Speravamo… mette in bocca ai due fuggiaschi il Vangelo di Luca: «Speravamo che fosse il Messia, speravamo che ci salvasse dai romani, speravamo di aver trovato una luce intramontabile nella vita e invece…». I dubbi attanagliano l’anima del discepolo che non sa più quale sia la verità. Con lui Cristo parla, lo consiglia e lo fa anzitutto vestendo i suoi stessi panni: lo guarda e gli indica con il dito puntato un punto più alto, molto più altro di quello che lo sguardo negativo e depresso del discepolo possa vedere. Per Tissot è soprattutto con lui che Gesù parla dei segni della sua morte e della sua risurrezione disseminati nella Scrittura. Cristo lo consiglia riportandolo a una lettura di fede e non umana della realtà. Questo pellegrino, a differenza dell’altro che porta con sé una verga, reca un grosso bastone, come quello sopra il quale ci si appoggia per sostenere il passo. Eppure lo tiene a mezz’aria, inutilizzato. Egli si manifesta come l’uomo sine baculo, senza guida (letteralmente “imbecille”), che Cristo riporta sulla retta via, quella del retto pensiero. Nel dipinto contrasta, infine, l’abbraccio largo e ombroso dell’ulivo, sotto il quale i tre stanno passando, e la strada assolata e sassosa. Quell’ulivo è quasi la rappresentazione fisica della pace che avvolge i due a motivo dell’incontro con Gesù. L’episodio, riletto in questa luce e con l’aiuto di Tissot, insegna molto su come essere operatori di misericordia consolando gli afflitti e consigliando i dubbiosi. Non si tratta di far leva sulle proprie capacità persuasive: chi soffre, chi è disorientato non ha bisogno di una sapienza umana, ma ha bisogno di Gesù e della sua Parola. Tutti gli uomini sono chiamati a consolare e a consigliare, ma i cristiani consolano e consigliano con una Parola che non avrà mai fine. Per questo le parole che dovrebbero uscire dalla nostra bocca quando parliamo con i sofferenti e con gli smarriti dovrebbero essere ispirate alla Parola di Dio e del Vangelo. L’unica grande opera di misericordia, del resto, è quella di riportare l’uomo a contatto con il suo destino eterno, rinfocolare nel suo cuore la fede in quel Dio che è Padre degli orfani e difensore delle vedove, il quale, mentre consola consolida e mentre consiglia apre l’uomo al suo destino ultimo ed eterno.

* Monache dell’Adorazione Eucaristica Pietrarubbia