L’Eucarestia e i suoi riti al Concilio di Trento – I parte (Luglio-Agosto 2017)

Prima di tentare di ricuperare sinteticamente il lavoro del Concilio di Trento sull’Eucaristia mi sembra opportuno fare alcune premesse che rappresentano come delle chiavi di lettura della riforma dello stesso Concilio. Ciò va fatto spassionatamente e con serenità. Innanzitutto, come abbiamo visto negli ultimi due articoli, la situazione generale che si era creata in tutto il Medioevo sia nell’ambito liturgico che in quello generale della vita della Chiesa esprimeva alla fine la necessità di quella profonda “riforma nel capo e nelle membra”. È questa situazione che si è presentata al Concilio tridentino, per cui lo si dovrebbe considerare come il Concilio della riforma e non della controriforma.
Tuttavia, alla suddetta situazione è venuto ad aggiungersi l’attacco feroce alla dottrina eucaristica da parte della “riforma luterana”. “Le accuse mosse dai riformatori, e soprattutto da Lutero, colpivano con critica spietata e mira sicura tutti i punti vulnerabili della prassi della Chiesa riguardante la Messa…” (J.A. Jungmann, Missarum sollemnia). Per alcune di queste vulnerabilità rimando al Montefeltro di giugno 2017. Lutero, come si sa, ha criticato la pratica eccessiva delle indulgenze, il culto esagerato dei santi, la preoccupazione per le forme pompose di culto, le Messe private con le relative prebende, la mentalità superstiziosa che si era sviluppata attorno all’Ostia. Ma soprattutto egli ha attaccato duramente ciò che chiamava “le tre schiavitù della Chiesa cattolica”, ossia il rifiuto di dare il calice ai laici, la dottrina della transustanziazione e la dottrina cattolica sulla dimensione sacrificale dell’Eucaristia (cfr. Keith F. Pecklers, Atlante storico della Liturgia).
Altri riformatori hanno esasperato la lotta dottrinale. Il Concilio di Trento non poteva ignorare questa situazione venutasi a creare. Anzi, essa ha fatto sì che i lavori conciliari diventassero una controriforma. In effetti, benché “fin da principio il Concilio di Trento non fu interessato soltanto a rispondere alla critica dei riformatori, ma anche a riconoscere che la Chiesa cattolica era in sé bisognosa di riforma, [esso riconobbe] che c’era almeno un po’ di verità in quello che i riformatori avevano lamentato in precedenza” (K.J. Pecklers). Il merito va riconosciuto al Concilio per avere difeso energicamente, operando le riforme necessarie, la fede e la dottrina cattolica circa l’Eucaristia. Rimane tuttavia il fatto che tutto si è svolto in un clima di poca serenità, anzi di grande conflittualità che ha portato a grandi interruzioni dei lavori conciliari (1545-1563).
Infine, occorre notare che il Concilio non ebbe a contare su un’ampia disponibilità della letteratura patristica – che ha conosciuto un grande sviluppo solo successivamente – nella sua ricerca di ricostruire la “liturgia romana classica”. La difficoltà di definire e distinguere con esattezza le norme originali della liturgia romana pura, da una parte, e dall’altra la necessità di evitare l’archeologismo liturgico da parte dei vescovi, portarono il Concilio a scegliere come base della riforma non la liturgia patristica ma quella medievale, che abbiamo tratteggiato negli articoli precedenti. Nel prossimo numero cercheremo di ricuperare l’essenziale dell’opera di riforma liturgica compiuta al Concilio.
Don Raymond Nkindji Samuangala
Assistente collaboratore Ufficio diocesano per la Liturgia e i Ministri Istituiti