L’Eucarestia nei suoi riti al Concilio di Trento – II parte (Settembre 2017)

Come annunciato nell’articolo precedente raccogliamo ora sinteticamente il lavoro di riforma liturgica del Concilio di Trento. Delle varie sessioni che affrontano il discorso sui sacramenti ci interessa di più la XXII del 1562 che tratta il problema degli abusi liturgici riguardanti la Messa. Il metodo utilizzato evidenzia come i padri conciliari hanno inteso combattere tali abusi accumulatisi nei secoli precedenti ma anche quelli recenti inerenti la riforma luterana, e ripristinare l’antica liturgia dei padri, riaffermando nel tempo stesso la dottrina liturgica di sempre. Così una commissione speciale viene incaricata di raccogliere tutti gli abusus missae. Al termine essa consegna un lungo elenco di abusi esistenti allora, e che costituisce la base dei lavori conciliari da cui scaturiscano le seguenti principali norme: la Messa doveva essere celebrata solo in luoghi consacrati; si doveva mettere fine al trattamento magico dell’ostia; la musica irrispettosa e inappropriata doveva essere bandita; i vescovi dovevano controllare i loro sacerdoti in merito alle offerte per la Messa; la superstizione relativa al numero delle Messe fissate doveva fermarsi; i membri dell’assemblea liturgica dovevano ricevere la comunione ad ogni Messa; la predicazione in lingua corrente veniva incoraggiata; la natura sacrificale della Messa veniva sostenuta e dichiarata priva di errori. Si ricordava al clero di aggiungere l’acqua al vino per l’offerta, cosa che i riformatori avevano considerato priva di importanza.
Occorre notare che “i capitoli dogmatici del Concilio non si sono semplicemente limitati a rimuovere errori, hanno anche fatto risplendere le grandi linee fondamentali della celebrazione del Sacrificio cristiano, spingendosi fino all’idea della Comunione dei fedeli ad ogni Messa, idea da cui la pratica del tempo era ancora tanto lontana” (J. A. Jungmann).
L’ultima sessione, la XXV del 4 dicembre 1563, doveva occuparsi della vera riforma della Messa e dell’Ufficio divino. Ma il tempo essendo limitato i padri conciliari hanno deciso di trasmettere al Papa Pio IV tutti i lavori preparatori affinché, a suo giudizio, venissero pubblicati non solo un indice dei libri proibiti e un catechismo, ma si dovessero anche riformare ed editare i libri liturgici. Tuttavia, solo sotto il suo successore Pio V furono pubblicati il Breviario Romano Tridentino (1568) e il Messale Romano (1570), e successivamente tutti gli altri libri liturgici. Le bolle che accompagnavano questi libri stabilivano che in futuro essi sarebbero stati obbligatori per tutti, tranne dove si poteva attestare riti particolari di almeno 200 anni di esistenza. Secondo la bolla Quo primum tempore che presentava il Messale romano, “nulla può essere mai aggiunto, tolto o cambiato”. Si tratta però di “una disposizione disciplinare che giuridicamente non può obbligare in alcun modo i papi che seguono o i concili ecumenici” (Adolf Adam W. Haunerland). Quali lezioni ricavare dalla riforma liturgica del Concilio di Trento? Il prossimo articolo sarà dedicato a rispondere a questo quesito.
* Assistente collaboratore Ufficio diocesano per la Liturgia e i Ministri Istituiti