L’Eucarestia nei suoi riti: le origini (Febbraio 2017)

Sulle origini della liturgia in genere e dell’eucaristia in particolare le notizie che ci vengono tramandate dai testi sacri sono piuttosto scarne. Tuttavia, le origini ebraiche del cristianesimo rappresentano ugualmente il punto di partenza del culto cristiano. In particolar modo l’eucaristia cristiana è da rapportarsi all’istituzione della Pasqua ebraica e del culto che si è sviluppato attorno ad essa quale “memoriale” di quel evento. In effetti, l’eucaristia ebbe origine dal pasto pasquale del popolo ebraico che commemorava il suo esodo dall’Egitto: la notte prima dell’esodo da questo mondo al Padre, Gesù celebrò la cena pasquale come anticipazione sacramentale della sua morte e risurrezione. L’ultima cena conteneva gli elementi principali della cena pasquale ebraica (pane, vino, preghiere di ringraziamento), ma il pane simboleggerà d’ora in poi il corpo trafitto di Gesù, il vino il suo sangue e la cena stessa l’anàmnesis, ossia memoriale del suo sacrificio. Gesù è il vero “Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29), il vero “pane disceso dal cielo e che dà la vita eterna” (cfr. Gv 6,22-66). Allo stesso modo, i libri dell’Antico Testamento ricevono da Gesù una nuova interpretazione: “Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” (Lc 24,44) in cui Gesù vede allusioni profetiche a se stesso. Ed è in questa chiave cristologica che nel corso dei secoli la Chiesa legge nella sua liturgia i testi dell’Antico Testamento, prega con i Salmi, utilizza certi gesti come l’imposizione delle mani, ecc. Era molto significativo che l’eucaristia fosse stata istituita “nella cornice del banchetto pasquale. Doveva ora avverarsi quanto era simboleggiato nell’Agnello pasquale dalle generazioni precedenti e atteso, di anno in anno, fin dal tempo dell’uscita dall’Egitto: liberazione non già dalla terra dei Faraoni, ma da quella del peccato, per incamminarsi non tanto verso la terra promessa, ma verso il regno di Dio. Nello stesso tempo ciò avrebbe dovuto perpetuarsi, da quell’ora, per tutte le generazioni in memoria retrospettiva” (J.A. Jungmann). Gesù quindi costituisce 1’ago della bilancia fra l’antico e il nuovo: è un fedele ebreo che partecipa liturgicamente alle feste dell’anno liturgico ebraico. Tuttavia, egli insegna che il vero culto di Dio «in spirito e verità» deve includere un servizio al di fuori del sabato, giorno in cui gli Ebrei dovevano astenersi da ogni attività. Se da una parte egli non è venuto “per abrogare la legge ma per darle compimento” (Mt 5,11) dall’altra egli è colui che può sentenziare: “vi è stato detto, ma io vi dico…” (Mt 5,17-37). La cena pasquale ebraica rappresenta quindi il punto di partenza della comprensione della Messa cristiana, il quadro della sua ritualizzazione negli elementi essenziali, e il tutto in chiave cristologica. Perciò si può parlare, con B. Neunheuser, di un atteggiamento di fedeltà-libertà verso il culto ebraico da parte di Gesù.
don Raymond Nkindji Samuangala
Assistente collaboratore Ufficio diocesano per la Liturgia e i Ministri Istituiti