L’Eucarestia nei suoi riti, nella Chiesa nascente (Marzo 2017)

L’atteggiamento di fedeltà di Gesù nei confronti del culto del suo popolo e nel tempo stesso la libertà nel conferire a tale culto contenuti e comprensione cristologici viene seguito anche dalla Chiesa apostolica. Infatti, secondo gli Atti degli Apostoli prima della rottura definitiva con la Sinagoga ed il Tempio, gli Apostoli e gli altri discepoli continuano a partecipare alla liturgia ed al culto ebraico celebrati in questi luoghi. Tuttavia, emerge anche che ciò che è specificamente cristiano viene vissuto in casa, che diventerà in tal modo la domus ecclesiae. È il caso della cosiddetta “frazione del pane”, espressione che non si riduce ad indicare il rito iniziale di una cena come nel caso della cena rituale ebraica, ma “la totalità” della celebrazione nella sua dimensione rituale. “Da ciò la parola “frazione del pane” assume un nuovo senso cristiano, estraneo tanto alla letteratura classica, quanto a quella giudaica” (J.A. Jungmann). Teologicamente il termine “frazione del pane”, che ricorre in alcuni passi neotestamentari (At 2,42.46; 20,7.11; 27,35; 1 Cor 10,16) esprime meglio la dimensione sacrificale di questo rito, memoriale del sacrificio cruento del Signore sulla Croce e consegnato ai suoi nella forma non cruenta appunto nel rito. È il gesto compiuto da Gesù stesso in diverse occasioni: alla moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mc 6,41); all’istituzione dell’eucaristia (Lc 22,19); a Emmaus (Lc 24,30.35). I primi cristiani, però, hanno anche la piena consapevolezza che questo sacrificio è il “mezzo” che il Signore lascia per entrare “in comunione” con lui ed avere la sua vita (cfr. 1 Cor 10,14-22). Quindi da “mangiare” e “bere” secondo il suo comando “prendete e mangiate, questo è il mio corpo”, “prendete e bevete, questo è il calice del mio sangue”. Da qui la dimensione conviviale complementare e strettamente collegata con quella sacrificale, e che viene significata dall’altra espressione presente nelle comunità paoline “la cena del Signore” (cfr. 1 Cor 11,20). Proprio in questo testo Paolo fa una sintesi mirabile di questi due aspetti dell’unica realtà chiamata “frazione del pane” o “cena del Signore”: “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (1 Cor 11,26). Si fa memoria del sacrificio del Signore, si comunica ad esso mediante il “mangiare” e il “bere” e si attende la sua venuta ultima! Riguardo alla struttura della celebrazione, sembra molto semplice ma i testi neotestamentari non ci permettono di conoscerne di più. Risulta invece chiaro come le comunità apostoliche abbiano avuto la consapevolezza che la celebrazione della frazione del pane o cena del Signore “il primo giorno della settimana” fosse la modalità eminente di essere in comunione di vita con il Signore risorto, vivo e presente in mezzo ai suoi. E nel tempo stesso è comunione-unione nell’uguaglianza dei suoi discepoli che costituiscono un solo corpo, il Corpo di Cristo. Ma anche che la frazione del pane è annuncio e attesa, quindi inserimento nella dinamica di salvezza operata da Gesù Cristo nel mistero pasquale.
don Raymond Nkindji Samuangala
Assistente collaboratore Ufficio diocesano per la Liturgia e i Ministri Istituiti