Liturgia della parola e incontro di preghiera

Domanda: Mi capita talvolta di organizzare per il gruppo a cui appartengo una veglia di preghiera. Un mio collega, invece, si è trovato nella chiesa parrocchiale a dover preparare una liturgia della Parola (si dice così?). Ci sono dei criteri da seguire per una e per l’altra celebrazione? L’incontro di preghiera che organizzo per il gruppo e l’incontro di preghiera in chiesa penso sono di diversa natura: ci sono regole e criteri da osservare? Esistono sussidi? Grazie. (Stefania)

La distinzione di fondo si fa tra liturgia e ciò che non lo è. Intendendo per “ciò che non lo è” non un nulla o un senza valore, ma un diverso dalla liturgia. Già il concilio Vaticano II parla di “pii esercizi” o “sacri esercizi”, nel loro rapporto con la liturgia (cfr. SC 13).
Ad oggi, il documento base di riferimento, che ha raccolto e attuato la norma conciliare è il Direttorio su Pietà Popolare e Liturgia (2022), della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. In esso vengono dati i Principi e orientamenti per disciplinare i nessi che intercorrono tra Liturgia e pietà popolare, riaffermando “il primato della liturgia”. Infatti, “l’eminenza della Liturgia rispetto ad ogni altra possibile e legittima forma di preghiera cristiana deve trovare riscontro nella coscienza dei fedeli: se le azioni sacramentali (liturgiche) sono necessarie per vivere in Cristo, le forme della pietà popolare appartengono invece all’ambito del facoltativo. Prova veneranda è il precetto di partecipare alla Messa domenicale, mentre nessun obbligo ha mai riguardato i pii esercizi, per quanto raccomandati e diffusi, i quali possono tuttavia essere assunti con carattere obbligatorio da comunità (gruppi) o singoli fedeli” (n. 11). Nello stesso tempo il Direttorio precisa “che non siano trascurate altre forme di pietà del popolo cristiano e il loro fruttuoso apporto per vivere uniti a Cristo, nella Chiesa, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II” (n. 1). Pertanto, “la facoltatività dei pii esercizi non deve quindi significare scarsa considerazione né disprezzo di essi. La via da seguire è quella di valorizzare correttamente e sapientemente le non poche ricchezze della pietà popolare, le potenzialità che possiede, l’impegno di vita cristiana che sa suscitare” (n. 12).
I criteri orientativi da seguire sono dati dal n. 13 che afferma: “la differenza oggettiva tra i pii esercizi e le pratiche di devozione rispetto alla Liturgia deve trovare visibilità nell’espressione cultuale. Ciò significa la non commistione delle formule proprie di pii esercizi con le azioni liturgiche; gli atti di pietà e di devozione trovano il loro spazio al di fuori della celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti. Da una parte, si deve pertanto evitare la sovrapposizione, poiché il linguaggio, il ritmo, l’andamento, gli accenti teologici della pietà popolare si differenziano dai corrispondenti delle azioni liturgiche. Similmente, è da superare, dove è il caso, la concorrenza o la contrapposizione con le azioni liturgiche: va salvaguardata la precedenza da dare alla domenica, alla solennità, ai tempi e giorni liturgici. Dall’altra parte, si eviti di apportare modalità di “celebrazione liturgica” ai pii esercizi, che debbono conservare il loro stile, la loro semplicità, il proprio linguaggio”. Quindi, i pii esercizi e le pratiche di devozione non sono né da eliminare né da disprezzare nella vita dei fedeli. Essi devono essere valorizzati ed armonizzati con la liturgia, che rimane culmen et fons, “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia” (SC 10).

don Raymond Nkindji Samuangala, gennaio 2023
Assistente collaboratore Ufficio diocesano
per la Liturgia e i Ministri Istituiti