Lo Spiritio Santo e vento silenzioso

Michelangelo di Lodovico Buonarroti (1475–1564) La Creazione di Adamo, particolare di Dio Padre Creatore. Affresco 1511 circa. Cappella Sistina, Città del Vaticano.

All’inizio della Genesi, quindi fin dalle prime battute del testo biblico, lo Spirito Santo s’impone, in un passo suggestivo, sotto il titolo di «soffio» o di «vento». «In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Gn 1, 1-2). In ebraico al versetto 2 troviamo l’immagine della ruach-elohim, ovvero dello Spirito di Dio, che aleggia sulle acque. Il termine ruach, designa vento – alito – respiro e spirito. Il vento ha suscitato interesse e stupore fin dagli albori dell’umanità. I primitivi pensavano che il vento fosse il respiro della terra, sintomo della vita cosmica. Nella sua presenza invisibile pensavano nascondersi una potenza superiore. Tra i sumeri, re di tutti gli dei era il dio Enlil il cui nome non significa altro che: “Signore-Alito di vento”. Anche nell’antica religione siro-fenicia il vento ha un ruolo importante: nella creazione del mondo il vento, come aria oscura e ventosa che si accoppia con se stessa, si librava sopra il caos.
Pur in una sostanziale similitudine di tali antiche immagini circa la creazione, il testo biblico si esprime con una precisione di termini, pur nella povertà di vocaboli della lingua ebraica, da far balenare già – come in filigrana – l’identikit della Trinità. Il nome del Dio creatore, che in un misterioso principio crea dal nulla, è reso con il plurale elohim, mentre il verbo resta al singolare. Trattandosi indubbiamente del Dio d’Israele, che è chiamato principalmente Uno, l’uso di questo termine plurale (elohim) lascia supporre che sia un dio di relazione a creare l’universo. Esistendo nella grammatica ebraica non solo il singolare e il plurale ma anche il duale, termine usato per definire una realtà costituita da due elementi (ad esempio gli occhi, le orecchie, le braccia ecc.. ) elohim indica un Dio di relazione che supera il numero due.
Per quanto a questo plurale la tradizione ebraica dia altre spiegazioni, all’occhio cristiano, specie ai padri della Chiesa, il riferimento non poteva che essere alla Trinità. Il primo disvelarsi delle persone che operano all’interno della divinità è dato proprio dallo Spirito. Si parla, infatti, nel versetto 2 dello Spirito di Elohim.  Il secondo svelamento del Mistero trinitario è dato dal versetto successivo ove, per la prima volta nella Bibbia, irrompe la Parola di Dio: Dio disse: «Sia la luce!» E la luce fu (Gn 1,3). Lo Spirito è l’alito stesso di Dio che crea il mondo per opera del suo Verbo. Ecco dunque che fin dalle prime battute della Bibbia compare Dio che, come attesta sant’Ireneo, crea il mondo con le sue due mani: il Verbo e lo Spirito Santo.
Il versetto 2 poi specifica che lo Spirito «aleggiava», il termine ebraico usato: merahefet, rimanda al fremito delle ali di un uccello (nella fattispecie di una colomba) che si libra sul nido per proteggere la covata. Da qui trae origine l’immagine neotestamentaria della colomba, personificazione dello Spirito. Infatti, nell’episodio del Battesimo di Gesù, la voce del Padre risuona nel corso di una teofania in cui appare lo Spirito, il quale sotto forma di colomba si libra sopra le acque del Giordano proprio come un tempo si librò sulle acque primordiali. L’artista che ci permette di fotografare il Dio-elohim in azione è Michelangelo Buonarroti nel ciclo dedicato alla creazione della Cappella Sistina.
Nell’affresco della nascita di Adamo, Dio Padre è tutto teso nell’atto creatore accompagnato dal soffio della ruahadonai (lo Spirito divino) che gonfia il manto a dismisura. Il manto (come abbiamo già avuto modo di commentare in queste pagine) ha la forma del cervello umano indicando già, al dire di san Tommaso, l’uomo come unica creatura “capace” di Dio. All’ombra del divino manto, rigonfio per il soffio dello Spirito, si scorge una pluralità di persone. Al primo sguardo essi appaiono come angeli-putti e sono dodici. L’identità di questi dodici angeli è stata variamente interpretata: i dodici mesi dell’anno o le dodici tribù di Israele. In realtà, a ben vedere, gli angeli sono solo dieci poiché sotto l’abbraccio del Padre stanno una giovane donna, e un bimbo. Il dieci corrisponde al numero simbolico delle dieci parole con cui Dio crea il mondo (10 volte si legge nel primo capitolo della Genesi: Dio disse) e le dieci parole (il decalogo) con cui Dio lo restaura, fino a inviare il suo stesso Verbo per una Redenzione eterna e definitiva. La giovinetta, dunque, più che Eva, già pensata quale aiuto simile all’uomo appena creato, è – più probabilmente seguendo l’impianto cristologico degli affreschi della Sistina – la Vergine Maria -scelta da Dio fin dall’eternità per quel piano di redenzione che tutta l’opera illustra. Il bimbo accanto a lei, decisamente in primo piano rispetto agli altri e tenuto dalla mano sinistra del Padre in modo singolare, è lo stesso Cristo che Dio Padre tocca con due dita, così come il sacerdote tiene l’ostia consacrata.
Si realizza così un circolo ermeneutico fra la Trinità che opera la creazione e la Trinità che, proprio lì sotto la volta della Sistina, opera la Ricreazione mediante l’Eucaristia, ove lo Spirito Santo interviene attraverso l’eplìclesi (o eplichèsi), cioè la sua discesa silenziosa e feconda, planando come alito silenzioso sulle specie del pane e del vino.

suor Maria Gloria Riva, novembre 2021