Lo Spirito “Colomba e l’Incarnazione

Maestro di Caterina di Cleves, Trinità, foglio 085, Libro delle Ore di Caterina Cleves (Katharina van Kleef) circa 1440, Biblioteca e Museo Morgan New York

Già nelle prime pagine della bibbia abbiamo visto delinearsi lo Spirito di Dio che aleggia (merahefet) sul cosmo come una colomba aleggia sulla sua nidiata. Così tutta la Scrittura è attraversata dal simbolo della colomba tanto come Spirito divino (nella Genesi e nel nuovo testamento) che come simbolo del popolo stesso. I due significati però, non si escludono: i profeti, infatti, annunciarono un’effusione straordinaria dello Spirito che avrebbe reso il popolo una cosa sola con il suo Dio. L’immagine della colomba la troviamo anzitutto nel Cantico dei Cantici, un libro letto dalla tradizione mistica, sia ebraica che cristiana, come il poema dell’amore tra Dio e il suo popolo.
Nel Cantico l’amato invoca la sua amata col nome di colomba: “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! O mia colomba che stai nelle fenditure della roccia, …mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce” (Ct 2,14) [cfr. Ct 1,15; 4,1; 5,2, 12; 6,9]. Qui, dunque, il simbolismo della colomba evoca da un lato la dolcezza di Dio e dall’altro il popolo stesso. Dio in tutta la storia della salvezza opera una sorta di schermaglia amorosa con il suo popolo al fine di sedurlo e di attirarlo a sé come si esprime Osea: “Ecco, l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,16). L’espressione “attirerò a me” ha in ebraico (radice fth), un senso molto forte, indica la seduzione che un uomo opera verso una donna, o quella che un amico opera verso il compagno per indurlo (non di rado) al male.
Chi corregge le infedeltà del popolo e anticipa ciò che sarà offerto ad ogni credente nei giorni del Messia è la Vergine Maria. La sua casa di Nazareth è il luogo ove si compiono le parole del Cantico dei Cantici: “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! O mia colomba che stai nelle fenditure della roccia, …mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce”. Come narra l’evangelista Luca: “L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te»”.
A questa vergine piena di grazia che non conosce uomo, l’angelo annuncia una maternità miracolosa: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio». Qui la simbologia della colomba non compare, ma il termine “ombra” richiama la nube luminosa che custodì Israele nell’esodo e, soprattutto, le ali della protezione divina, costantemente invocate nei salmi: “Tu che abiti al riparo dell’Altissimo e dimori all’ombra dell’Onnipotente, dì al Signore mio rifugio e mia fortezza, mio Dio in cui confido… Ti coprirà con le sue penne sotto le sue ali troverai rifugio” (Sal 91, 1-2.4). Sotto le ali divine si rifugia Maria, una degli anawim, di quei «poveri di Jahvè» che attendevano il Messia. Ella rappresenta così la colomba perfetta, che veglia nella notte in attesa dello Sposo: “Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! È il mio diletto che bussa: Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia”. Maria risponde a questo invito con il suo sì, divenendo tempio della misteriosa presenza dello Spirito che si manifesterà pienamente nel Figlio suo Gesù, concepito appunto di Spirito Santo.
Un riferimento profetico alla divina maternità di Maria si trova in un altro salmo in cui compare il simbolo della colomba: “Mentre voi dormite tra gli ovili, splendono d’argento le ali della colomba, le sue piume di riflessi d’oro” (Sal 68,14). Il testo, che canta gli eventi salvifici di Dio nei confronti del popolo, sembra riprodurre – in questo versetto – la nascita miracolosa di Cristo annunciata dagli angeli ai pastori nella notte di Natale. Nell’arte c’è un’opera significativa che s’ispira alla magia di questa notte in cui si compie l’opera trinitaria della salvezza. Si tratta di una miniatura presente nel libro delle ore di Catarina van Cleve, la quale presenta una curiosissima immagine della Trinità: in una notte stellata, splendono d’argento le ali della colomba su raggi dorati. Dio Padre vestito del rosso della sua regalità, invia lo Spirito sulla terra affinché fecondi la Vergine Maria in vista dell’opera dell’Incarnazione. La Madonna non si vede, ma al centro della miniatura ecco il Cristo Bambino pronto ad entrare nel grembo materno abbracciando la croce.
Non ci sono pastori dormienti tra gli ovili, come avverrà nella notte di Natale, ma, in fondo alla pagina, ideale testimone di questa misteriosa e feconda notte è un pescatore. Vestito dello stesso rosso di Dio Padre e con un copricapo blu, come la notte che avvolge lo spirito-colomba nella sua discesa, egli è intento a gettare le sue nasse, oppure il giacchio come vuole un testo profetico annunciato da Abacuc (1,15). Tre anatre nello specchio d’acqua ritraggono l’opera trinitaria: due assistono una terza che sola si tuffa a pescare nelle acque. Così come Padre e Spirito assistono il verbo nella sua Kenosi, ovvero nella sua discesa dentro la carne dell’uomo per redimerla.
L’opera nel suo linguaggio semplice, scritto in una pagina che raccoglie l’Inno di terza nella Festa della Santissima Trinità, vuole rappresentare la grande epiclesi dello Spirito che, come colomba accompagna il Verbo nella sua discesa dentro il grembo di Maria. Il Bambino, che plana portando già la croce, non è una novità nell’arte. Egli solo, potremmo dire, è nato per morire e affinché l’uomo, nascendo, potesse avere la certezza di vivere per sempre in quel Cielo dai riflessi d’oro che accompagna la discesa dello Spirito-Colomba.

suor Maria Gloria Riva, dicembre 2021