L’Ordinamento generale del Messale Romano: il Proemio (Giugno 2018)

Di fronte a certe gravi accuse, il Proemio si presenta come una documentata dimostrazione della conformità del Messale di Paolo VI alla fede e alla tradizione della Chiesa, negando di conseguenza qualsiasi frattura con il passato, particolarmente con il Concilio di Trento. È significativo che la revisione del Messale sia stata predisposta dal Vaticano II con gli stessi criteri, anzi con le stesse parole usate da S. Pio V nella bolla Quo primum (1570), con la quale promulgò il Messale di Trento. Tra i due libri, nonostante la distanza di quattro secoli, si riscontra una medesima e identica tradizione. Al tempo di Pio V per salvaguardare i valori di fede, gravemente messi in pericolo, premeva ridurre al minimo i cambiamenti liturgici. D’altra parte la ricerca storico-critica non consentiva di andare al di là del medioevo. Oggi, con lo sviluppo e il progresso degli studi storici e patristici, con la scoperta di antichi libri liturgici, si dispone di una larga possibilità per arricchire la tradizione immediata con il ricorso alle originarie e successive espressioni dell’unica fede nelle varietà delle culture. Così la riforma del Messale del Vaticano II si pone in una linea di fedeltà ai valori di fede, di continuità alla tradizione ininterrotta, specie riguardo al carattere sacrificale, la presenza reale e il sacerdozio ministeriale; ma anche in linea di novità, ossia di adeguamento alle esigenze pastorali. È, in altre parole: ortodossa, legittima, rinnovata. Infatti, la natura sacrificale della Messa, affermata dal Concilio di Trento, è stata ripresa esplicitamente dal Concilio Vaticano II (SC 47; LG 3,28; PO 2,4,5). La stessa dottrina si ritrova sia negli antichi testi liturgici, sia nelle attuali formule del Messale, propriamente nelle preghiere eucaristiche III e IV. Anche la dottrina della presenza reale vera e sostanziale del Signore nelle specie eucaristiche, è riproposta con lo stesso significato dal Vaticano II (SC 7,47; PO 5,18) e dai successivi interventi magisteriali. Nella celebrazione eucaristica sono le parole stesse della consacrazione con l’epiclesi a metterlo in luce, oltre ai segni liturgici di venerazione (es. genuflessione). E non va dimenticato il culto di adorazione promosso anche oggi. La natura del sacerdozio ministeriale, propria del Vescovo e del presbitero quali agenti nella persona di Cristo e presidenti dell’assemblea liturgica, appare chiara sul piano rituale dalla funzione che esercitano. I compiti specifici sono delineati nel prefazio della Messa crismale del Giovedì santo, giorno dedicato anche alla memoria dell’istituzione del sacerdozio ministeriale. Il sacerdozio ministeriale non esclude ma reclama il sacerdozio regale dei fedeli che assieme, con diversa e complementare funzione, celebrano l’Eucaristia, azione di tutta la Chiesa. Al sacerdozio del popolo santo di Dio si è inteso oggi prestare maggiore attenzione durante il rito rispetto a una certa trascuratezza manifestata, per certi aspetti, nel corso dei secoli. Tuttavia, il nuovo Messale, pur nell’identità della fede e nella continuità della tradizione, è una tappa decisiva della storia liturgica. Il Concilio di Trento si distinse per la difesa del dogma, ma non dimenticò di dare suggerimenti in campo pastorale che oggi appaiono profetici. Riconobbe, tra l’altro, il valore catechetico della celebrazione eucaristica: anche se proibì, per ragioni contingenti, la lingua parlata, ordinò ai pastori di supplire con un’opportuna catechesi e prescrisse l’omelia domenicale e festiva. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto e precisato la «natura didattica e pastorale della liturgia» (SC 33-36), concedendo l’uso della lingua parlata per l’utilità del popolo cristiano (SC 36) ed estendendola a tutte le celebrazioni liturgiche. Ha ripreso e portato a compimento alcuni voti del Concilio di Trento (dall’omelia alla Comunione sacramentale durante la celebrazione). Ha riesaminato, al di fuori di ogni contesto polemico, la questione della Comunione al calice, concedendone l’uso in casi determinati. Tra il Messale Tridentino e quello del Vaticano II vi è dunque in parte continuità e in parte sviluppo e integrazione. Non si è fedeli alla tradizione restando immobili, bensì adattando il deposito al proprio tempo. Il Messale si presenta davvero come il libro della fede e della vita della Chiesa, ossia della fede orante sempre uguale e sempre nuova nel cammino della sua storia.
don Raymond Nkindji Samuangala
Assistente collaboratore Ufficio diocesano per la Liturgia e i Ministri Istituiti