L’Ultima Cena (Giugno 2017)

Ultima cena, Seguace di Federico Barocci, olio su tela, 229 cm di altezza per 322 cm di larghezza, Chiesa di San Silvestro, Monte Grimano

Nella chiesa di san Silvestro di Monte Grimano, una grande pala raffigurante l’ultima cena, copia di un’opera di Federico Barocci (Cattedrale di Urbino 1535-1612), illustra ai fedeli la profondità del Santissimo Sacramento. La pala, tra l’altro, documenta la fama del Barocci, infatti fu probabilmente realizzata nel 1607. Si tratterebbe cioè di una copia eseguita prima della morte del Barocci e, soprattutto prima del divieto, da parte del Capitolo del Duomo di Urbino, di eseguire copie a grandezza naturale della Cena originale in loro possesso. La nostra tela, pur non essendo identica al formato dell’originale, conserva grandi dimensioni.
Il «clima» pittorico in cui si colloca l’opera è quello delle visioni del Tintoretto, con un gusto del colore che rimanda con forza alla tradizione veneta. L’impianto scenico è costruito su 3 piani: uno vicinissimo all’osservatore, uno intermedio che ha in Cristo il punto focale e un terzo sopraelevato, dove angeli in volo assistono al Mistero. I tre piani descrivono, in certa misura, i gradi di osservazione del fedele che, avvicinandosi al Mistero centrale della nostra fede, se ne rende progressivamente consapevole.
Lo sguardo dello spettatore, infatti, cade immediatamente sull’uomo in primo piano inginocchiato che, rivolto verso gli astanti opera un movimento improvviso verso destra obbligando così a scorgere un bimbo che partecipa con altri all’allestimento del banchetto. Un uomo, in piedi accanto al fanciullo, pulisce vigorosamente un recipiente. Sono chiare menzioni alla Pasqua ebraica che vuole protagonisti del rito i soggetti più giovani. Sono essi, con le loro domande, a rendere possibile il racconto delle gesta del Signore per il suo popolo. Nel recipiente scrupolosamente pulito c’è l’implicita menzione agli azzimi. Anche il cristiano che si accosta alla Mensa del Signore è richiamato a rinunciare al vecchio lievito del peccato. Questo primissimo piano, educa allora il fedele a prepararsi adeguatamente al Sacramento, mediante un esame di coscienza e la confessione sacramentale, secondo l’ammonimento dell’apostolo: togliete via il lievito vecchio della malizia poiché siete azzimi (cfr 1Cor 5,7 ss).
Tra i commensali due apostoli distolgono lo sguardo da Cristo e dalla tavola. Uno è Pietro che, vestito di giallo, colore dell’ira, sta riponendo nel fodero un coltello (lo stesso con il quale colpirà una delle guardie del tempio). L’altro è Giuda che, deluso e impugna il sacchetto del denaro, obbligandoci a guardare sulla destra del dipinto. Qui un uomo, accanto a un cane, versa dell’acqua. Il gesto rimanda al miracolo delle nozze di Cana, dove l’acqua trasformata in vino è allusione alla trasformazione del vino in sangue. Il cane, invece, simboleggia la fedeltà di Dio che attraverso i profeti aveva promesso un banchetto salvifico offerto a tutti i popoli, promessa che si realizza pienamente nel sangue di Cristo. Ecco lo scandalo degli apostoli e in particolare di Giuda: il Figlio di Dio non solo si è fatto carne ma, per restare con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo, arriva a farsi “cosa”, ovvero “pane”.
Il secondo piano della pala racconta quindi la storicità dell’evento salvifico e la sua inserzione nel mistero dell’iniquità. In questo settore, scorgiamo sullo sfondo persone contemporanee al pittore (nell’originale del Barocci sono membri della famiglia dei della Rovere) che testimoniano al credente come quest’evento salvifico accaduto negli ultimi giorni della vita di Cristo, perdura misteriosamente e misticamente qui ed ora, grazie alla dimensione sacramentale.
La parte alta della pala di Monte Grimano racconta, attraverso l’adorazione angelica, il culto latreutico al Sacramento quello che, liturgicamente, si evidenzia con la solennità del Corpus Domini. Fu tale la coscienza cristiana nei secoli circa la centralità del Mistero Eucaristico che lo si è voluto commemorare non solo nella Solennità del Giovedì Santo, ma anche nella Solennità del Corpus Domini. Sottolineando, in risposta all’eresia catara o degli albigesi, la fede nella Presenza Reale di Cristo nell’Eucaristia dopo la celebrazione Eucaristica.
Il coinvolgimento di noi spettatori all’interno della scena avviene attraverso i due apostoli che tradirono il Salvatore. Sono proprio questi apostoli che ci ammoniscono sulla retta posizione da assumere per non cadere nel dramma dello scandalo: che le sofferenze della vita non ci allontanino da Colui che, proprio per aver compatito la nostra condizione umana, è in grado di dare un senso e una risposta ultima alle contraddizioni della vita. Chi si ciba alla sua mensa avrà capacità e forza per comprendere il valore della sofferenza e la grazia della risurrezione.
Monache dell’Adorazione Eucaristica – Pietrarubbia