Lungo la strada

Arcabas, Ciclo sui discepoli, Lungo la strada, 1994
Il card. Carlo Maria Martini ha accompagnato la mia vocazione con le sue lettere pastorali, coronando quest’accompagnamento col presiedere la celebrazione della mia Professione solenne nel 1990. Quello fu anche l’anno in cui Papa Giovanni Paolo II scrisse una delle più belle encicliche sulla dimensione missionaria della Chiesa: Redemptoris Missio. Il tema scelto quest’anno dal nostro vescovo, la Missione, mi riporta a quei primi inizi, soprattutto perché entrai in Monastero con la lettera pastorale di Martini “Partenza da Emmaus”. Fu davvero per me una partenza. Un inizio che non ha avuto fine, un inizio che ha accompagnato e accompagna molti momenti della mia esperienza di fede. Mentre ripenso a tutto questo, il mio sguardo si sofferma sopra un’immagine particolare, una rivisitazione della prima icona della chiesa missionaria – l’episodio dei due discepoli di Emmaus – ad opera del pittore francese Arcabas, morto nel 2018 a 92 anni. Jean Marie Pirot, vero nome dell’artista, ha dedicato ai discepoli di Emmaus un intero ciclo, regalandoci una stupenda riflessione sulla dimensione missionaria della Chiesa oggi. Forse non a caso, a sentire il desiderio di riflettere pittoricamente sul tema, fu un francese, figlio, cioè, di una nazione nota come la primogenita di madre Chiesa, oggi quasi totalmente scristianizzata. il primo quadro s’intitola Lungo la strada. Sì, lungo la strada accadono molte cose. Lungo la strada ci si attarda, lungo la strada si rischia di crollare per la stanchezza, per la sfiducia, si perdono le motivazioni. Lungo la strada però si fanno anche incontri interessanti come quello occorso a Cleopa e all’amico in quel primo giorno della storia della Chiesa. Quelli che camminano, per Arcabas, sono due contemporanei, vestono giacca e pantaloni, jeans e maglione. Siamo noi, appunto, lungo la strada. In fondo come sospeso nel vuoto scorgiamo un puntino giallo oro, circolare: è il perimetro di Gerusalemme, con il suo fascino e il suo mistero. La città della fede ricevuta è là sospesa nel vuoto, lontana dal quotidiano camminare dei due discepoli di Gesù. È davvero il nostro ritratto sintetizzato così dalla Redemptoris Missio: Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della Chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della Chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede (RM 2)… Anche a causa dei cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove idee teologiche alcuni si chiedono: È ancora attuale la missione tra i non cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo interreligioso? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana? Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni proposta di conversione? Non ci si può salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la missione? (RM 4). Potremmo porre sulle labbra dei due viandanti di Arcabas questi stessi interrogativi, interrogativi che, in definitiva, sono i nostri. Hanno perso di vista, i due, che la vera missione è annunciare Cristo e non un buon comportamento etico, buone maniere, progressi di civiltà, esercizi di convivenza pacifica, cose che poco o nulla hanno a che fare con la croce. Così il primo discepolo a destra si porta la mano al cuore ed è tutto proteso in avanti; forse è quello più decisamente in fuga da Gerusalemme e dai fatti scomodi che ivi sono accaduti. Come si sposa Dio con la violenza, la vita con la morte, il Messia con la persecuzione? Non dovrebbe trovare la verità, i cuori tutti aperti pronti a riceverla, come se fosse l’ovvio del desiderio umano? E invece no. La verità è scomoda e, a volte, chiede il sacrificio di sé, la perdita del proprio prestigio, il coraggio della testimonianza. Tutto questo, forse, lo intuisce l’altro discepolo che, circondato dallo stesso alone aureo del misterioso viandante, si porta la mano alla testa nel gesto di aver rammentato un fatto noto e, quindi appunto, compreso. Il passo si fa più sicuro, pacato, non è più in fuga dalla realtà ma rimane dentro una relazione misteriosa. Non sa ancora perché ma percepisce una verità che dà pace. Ecco il punto centrale della questione: i discorsi sulla verità mettono a disagio, confondono, l’incontro con la Verità dà pace, anche se non la si conosce appieno. Il discepolo ancora non sa che il viandante dagli occhi luminosi è Cristo. Egli cammina con noi e ci difende dalla strada che Arcabas dipinge come un serpente insidioso. È proprio su questa strada, tortuosa, che va testimoniato. La missione comincia da qui: da un incontro lungo una strada. Può essere stata sbagliata, difficoltosa, scandalosa, ripida la strada, ma è qui nella realtà di ogni giorno che lo si incontra e solo da un incontro può nascere la missione. No, non è sufficiente la promozione umana: il cristianesimo non è un sistema etico affascinante, è un incontro che spinge la vita verso l’eternità. Due piedi non si vedono. Sono il piede sinistro di Cristo e il piede destro del discepolo in fuga. Egli cammina qui ora con noi, dentro le nostre fughe. Egli è la via, egli è la verità, egli è la vita: a nessun uomo nuocerà conoscere di sé la verità, conoscere la via verso la vita. Cristo non toglie nulla all’uomo, per quanto laico, ateo o di altra fede che sia. Cristo è sempre dalla parte dell’uomo e chi l’ha scoperto non può sopprimere la gioia di comunicarlo.

suor Maria Gloria Riva, ottobre 2020