Memoria e missione (Luglio-Agosto 2018)

La speranza che fa crescere la fede. Un’immagine particolare designa, in ebraico, il termine tikva: speranza. È l’immagine di una corda tesa fra due poli: passato e futuro. Memoria e compimento. “Shemà Israel!”, «Ascolta, Israele, non dimenticare, Israele!», ha ricordato il Papa essere una «parola che si ripete tanto nell’Antico Testamento, nel Deuteronomio, quando il popolo aveva perso la memoria» dell’azione di Dio (Santa Marta, 7 giugno). È tra «memoria e speranza» che possiamo «incontrare Gesù». «Nella nostra vita ci sono momenti in cui Gesù si è avvicinato, si è manifestato. Noi nel cuore abbiamo questi momenti: cerchiamoli, contempliamoli» (7 giugno). La seconda condizione per l’incontro con Gesù è la «memoria dei nostri antenati» (7 giugno). Il Santo Padre ci invita a guardare in proposito alla figura biblica di Nabot, condannato a morte per essere rimasto «fedele all’eredità dei suoi antenati, fedele alla verità» (Santa Marta, 18 giugno). E invece oggi come allora, ha denunciato il Papa, «tante persone, tanti Paesi sono distrutti per dittature malvagie e calunniose» richiamando anche in questo frangente l’esperienza dei nostri fratelli ebrei: una comunicazione calunniosa e finivano ad Auschwitz» (18 giugno). Come dicono anche i rabbini: la calunnia è la peggiore delle armi! Uccide tre persone: colui che parla, colui al quale si parla e colui di cui si parla. Vi è poi «la memoria della legge, gesto di amore che ha fatto il Signore con noi perché ci ha segnalato la strada, ci ha detto: per questa strada non sbaglierai» (7 giugno). Infatti, «ogni uomo e donna è una missione» in quanto «c’è un’iniziativa che ci precede e ci fa esistere» (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, 20 maggio). Per questo il Papa ci esorta a «chiedere per i giovani di oggi il dono della sana inquietudine. Dobbiamo scrutare l’ordinario per aprirci allo straordinario. Ecco la sfida: trovare l’originale della vita, non la copia» (Udienza Generale, 13 giugno). Il santo Padre ha poi insistito descrivendo il passaggio «dalla giovinezza alla maturità» ossia «quando si inizia ad accettare i propri limiti. Si diventa adulti quando ci si relativizza e si prende coscienza di quello che manca. Nella storia degli ultimi secoli l’uomo ha spesso rifiutato, con tragiche conseguenze, la verità dei suoi limiti» (13 giugno). Per questo «non si può essere cristiani senza appartenenza e comunione» (Angelus, 27 maggio). «Il contrario di ogni individualismo, sia dell’io sia del tu, è ‘noi’ », ha detto il Pontefice in occasione della visita alla cittadella di Loppiano (10 maggio): «una città che ha il suo cuore nell’Eucaristia, sorgente di unità e di vita sempre nuova» (10 giugno). Ha così messo in evidenza che «la periferia più desolata dell’umanità bisognosa di Cristo è l’indifferenza verso la fede o addirittura l’odio contro la pienezza divina della vita. Ogni povertà materiale e spirituale, ogni discriminazione di fratelli e sorelle sono sempre conseguenza del rifiuto di Dio e del suo amore» (20 maggio). «La presenza di Gesù vivo nell’Eucaristia è come una porta, una porta aperta tra il tempio e la strada, tra la fede e la storia, tra la città di Dio e la città dell’uomo» (Angelus, 3 giugno). Lunedì dopo la Pentecoste si è celebrata per la prima volta la messa nella memoria della Beata Vergine Maria Madre della Chiesa, per sottolineare la «dimensione femminile della Chiesa» senza la quale essa «perde la vera identità e diventa un’associazione di beneficenza» (Santa Marta, 21 maggio). Ha messo però in guardia dal pensare che «se la Chiesa è madre, le donne dovranno avere nuove funzioni: questo non è la cosa più significativa» ha sottolineato il Papa, perché «l’importante è che la Chiesa sia donna, che abbia questo atteggiamento di sposa e di madre» (21 maggio).
Monache dell’Adorazione eucaristica – Pietrarubbia