«Non si è parlato di noi, ma di Lui» (Luglio-Agosto 2017)

L’assemblea di verifica di fine anno e nuove tappe per il cammino della diocesi.


«Un metro e dieci di altezza, ottanta centimetri di larghezza». Sono le misure delle pagine dell’edizione 2016/17 degli Atti degli Apostoli 2.0: un modo un po’ ironico di presentare la sintesi dei lavori al termine dell’assemblea diocesana di verifica, il 27 maggio scorso. Un documento non si misura certo in metri, ma per l’intensità della partecipazione comunitaria e personale. Erano rappresentate tutte le componenti della nostra Chiesa, duecento persone fra laici, sacerdoti e religiosi. Sarebbe stato bello invitare gli amici che guardano, per così dire, la diocesi dall’esterno. Avremmo potuto far tesoro delle loro osservazioni. Chi era presente aveva ricevuto in antecedenza un garbato invito a prepararsi ad un evento del quale non sarebbe stato un semplice spettatore, ma sarebbe stato coinvolto in una sorta di riscrittura degli Atti degli Apostoli, il testo neotestamentario che ha fatto da riferimento per tutto l’anno. La sfida consisteva, dopo essersi messi in preghiera, nel saper cogliere Dio all’opera nella propria vita e in quella della comunità, evidenziando tempi e modi dell’incontro col Signore Risorto. Alla fine sono state raccolte oltre centocinquanta pagine di esperienze. Qualcuno, sfogliandole, ha esclamato: «Toh: non si è parlato di noi, si è parlato di Lui!». E questo è bello, segno di una maturità spirituale e pastorale raggiunta.
L’anno era iniziato con la puntualizzazione di alcune idee forza, più volte ribadite nel corso delle attività e tradotte operativamente in qualche obiettivo da perseguire. Lo sfondo era quello di un realistico esame della situazione attuale, per alcuni aspetti non troppo diversa da quella degli inizi del Vangelo. Basta un accenno: tempo di nuova semina del Vangelo; difficoltà e tensioni all’interno della comunità, persecuzioni e prove dall’esterno; sproporzione fra l’esiguità del pugno di lievito e la quantità e complessità della pasta da sollevare. Nei moderni areopaghi poi, il messaggio cristiano, come un tempo, viene accolto con sospetto, quando non è rifiutato o messo a tacere come inattuale: «Su questo vi ascolteremo un’altra volta» (cfr. At 17,33). Tuttavia, è affiorato un comune sentire della potenza della Pentecoste (sensus fidei del popolo di Dio): siamo soltanto all’alba di quel giorno; la Pentecoste non è un fatto accaduto, ma uno stato permanente. È stato smentito il pregiudizio secondo il quale il dopo-Gesù sarebbe il tempo di una sua presenza sfumata e debole, tempo di nostalgia e di attesa di un Regno di Dio ideale o solo spirituale. Al contrario, il tempo della Chiesa è tempo della pienezza di Gesù che dall’Ascensione in poi è sorgente della sua vita. Amo ripetere le parole di San Leone Magno: «Tutto ciò che fu visibile del nostro Redentore è passato nei segni sacramentali».
In questa circostanza non si è elaborata una teoria sulla Chiesa, ma si sono toccate con mano la sua vitalità, il suo mistero umano-divino, la sua forza diffusiva, la sua ricchezza di carismi e ministeri. Si è constatato che la Chiesa è più viva quando è in uscita rispetto a quando gioca in difesa. E la Chiesa è in uscita per natura, non per strategie. Nel pomeriggio della verifica si è respirato questo clima. Ha prevalso non il dato organizzativo, ma quello della fede: più comunione che organigrammi, più rendimento di grazie che analisi, più voglia di impegno che di lamentazioni. Si potrebbe obiettare che questa coscienza di Chiesa sta maturando in una piccola parte del nostro popolo: tanti cristiani vivono al margine della ricerca, estranei ai tentativi. Siamo in cammino. Per quanto riguarda la direzione ci incoraggia quotidianamente Papa Francesco. Lo scenario è ancora quello delle prime comunità cristiane; quest’anno, in particolare, osservato attraverso la Prima Lettera di San Paolo ai Corinti. Ritornano così le domande: «C’è entusiasmo nelle nostre comunità? Come ci appare il mondo oggi e, di riflesso, la nostra Chiesa? Quali sono le lontananze più difficili da raggiungere per le nostre comunità? Quali percorsi di formazione sono realisticamente praticabili?». I Consigli diocesani e gli Uffici pastorali stanno lavorando su tre idee forza: rafforzare la consapevolezza di essere Chiesa, sostenere il cammino di conversione e lo spirito di profezia.
Sta di fronte a noi una scadenza importante: l’imminente Sinodo dei Vescovi sul tema “i giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Il Sinodo offre l’opportunità di metterci in ascolto delle nuove generazioni e poi di renderci tutti sempre più e sempre meglio accoglienti verso loro, mostrando il volto evangelico e luminoso della Chiesa. La responsabilità verso i giovani non è delegabile a qualcuno, né si risolverà con nuove iniziative. È la bellezza che attrae. E la bellezza più bella è Gesù. Sapremo mostrarlo?
+ Andrea Turazzi