Per una Chiesa che genera (Giugno 2016)

Nuovo umanesimo e Iniziazione cristiana

In questo ultimo scorcio di anno pastorale non riesco a chiudere l’agenda della diocesi e tanto meno a scriverci su la parola “fine”. È vero, l’anno pastorale volge al termine, ma cuore e mente sono già proiettati al futuro. Torna la domanda, la domanda che viene prima di ogni altra ed è, in certo senso, la domanda di sempre: che cosa ci sta chiedendo il Signore? Che cosa domanda alla sua Chiesa che è in servizio a San Marino-Montefeltro? Che è come dire: di che cosa ha bisogno la nostra gente? San Paolo – l’abbiamo letto in questi giorni – ebbe in visione una indicazione precisa sul da farsi. Gli apparve in visione un Macedone che lo supplicava: «Passa in Macedonia e aiutaci». L’apostolo non esitò un istante, ritenendo che Dio lo chiamasse ad annunziarvi la parola del Signore (cfr. At 16,9-10). Non sono i Macedoni di allora che chiamano, ma i tanti amici, le tante comunità e le più svariate realtà che, consciamente o inconsciamente, ripetono: «Passa da noi e aiutaci». Non condivido l’opinione secondo la quale non ci sarebbero più né domanda, né voglia di Vangelo. Che questa voglia resti inespressa o non sia formulata in termini precisi, può essere. Che sia distorta da mille altre interferenze o rimossa a causa di urgenze immediate, d’accordo. Ma queste eventualità, in ogni caso, ci responsabilizzano. La realtà ha sempre qualcosa di positivo in sé e muove alla ricerca. In questo caso ci provoca a trovare quella figura di “nuovo evangelizzatore” di cui scrive papa Francesco nella Evangelii Gaudium. Il nuovo evangelizzatore, si badi bene, prima che una persona è una comunità. Nell’identikit del nuovo evangelizzatore non esiterei a rimarcare questi tratti. È uno che fa esperienza profonda e consapevole della compagnia con il Signore e la sua Parola. Il nuovo evangelizzatore non si preoccupa se non ha né oro né argento (qualità, risorse, mezzi), ma offre la gioia che viene dal Vangelo e di cui gode, benché si sappia ancora peccatore. Non si lascia omologare ai criteri mondani, ma non si chiude nelle sue sicurezze. Egli incontra, dialoga, partecipa, coglie opportunità e non arrossisce del Vangelo (cfr. Rom 1,16).
Una figura di evangelizzatore che mi piace particolarmente è quella del diacono Filippo di cui scrivono gli Atti degli Apostoli. Filippo non subisce l’evento della persecuzione, ma lo vive come opportunità missionaria: scende a Gaza, esce sulla strada, si accosta al carro sul quale viaggia l’etiope ministro della regina Candace (uno straniero), si fa uno con lo sconosciuto viaggiatore, prende sul serio le sue domande, sale sul carro, lo introduce nell’esperienza di Gesù, e poi… scompare (cfr. At 8). L’esperienza di Filippo può ispirare non solo il singolo evangelizzatore ma anche il cammino della nostra Chiesa che si fa compagna di strada e che riscopre la sua responsabilità generativa che consiste nel lavorare al progetto di un nuovo umanesimo e nel generare vita nuova: fratelli e sorelle. La responsabilità generativa comporta parresia (franchezza di parola senza arroganza) nei confronti della società, cura e cuore verso le nuove generazioni. Dunque, due urgenze.
In cima alla nostra nuova agenda dovremmo scrivere: i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la rivelazione cristiana (Vangelo), la fraternità che essa ispira, l’umanesimo a servizio della vita.
Parresia: è di qualche settimana fa la presentazione di cinque Istanze d’Arengo che chiedono di introdurre nella Repubblica di San Marino la legalizzazione dell’aborto. Si tratta di proposte che fanno emergere una più generale campagna per i cosiddetti “nuovi diritti” e a muovere “piccoli passi di civiltà” (???). E in Italia? Stesso clima culturale; in più si soffre lo scandalo del lavoro che non c’è e dello sbando che travolge la gioventù. Situazioni che ci interpellano e a cui vorremmo rispondere con un rinnovato slancio educativo. Situazioni sulle quali “aspettiamo al varco” i nostri politici e amministratori, ai quali, tuttavia, non possiamo demandare né pretendere soluzioni senza la nostra partecipazione. È di cattivo gusto lanciare sassi e poi tirare indietro la mano. La prossima “giornata diocesana di preghiera e di riflessione sulla politica”, in occasione della festa di San Tommaso Moro, propone questo messaggio: «Scendere in campo. Le ragioni dell’impegno in politica». Alla preghiera per i politici (che caratterizzerà la domenica 19 giugno in ogni chiesa e parrocchia) si aggiungerà una serata di testimonianze di persone che sono “scese in campo” e racconteranno le motivazioni interiori della scelta, le difficoltà incontrate e la connessione con la propria coscienza. Da queste testimonianze i giovani – invitati speciali – sapranno trovare ragioni di impegno per il bene comune? È una delle finalità della giornata. Responsabilità generativa e poi “cura e cuore” verso le nuove generazioni. L’iniziazione cristiana è una sfida da non lasciarsi scappare, né può essere data in appalto ad un drappello di generosi e coraggiosi catechisti. È affare della famiglia e dell’intera comunità. La domanda decisiva è la seguente: siamo davvero convinti che Gesù è attrattivo per le nuove generazioni? La verifica di fine anno pastorale fissata in agenda già dal settembre scorso, farà emergere quello che il Signore ha fatto tra noi. La gente ha bisogno di sentire bellezza e pienezza di vita. A questa Assemblea diocesana di sabato 11 giugno siamo tutti invitati. Ci verrà proposto di sedere a gruppi di dieci/quindici persone e di scambiarci esperienze, aiutati da domande di questo tipo: il mondo attorno a noi sta cogliendo il messaggio evangelico della misericordia? Che cosa facilita l’accoglienza reciproca e verso tutti nelle nostre comunità? Quali parole, quali gesti, quali segni indirizzano alla ricerca e alla scoperta dell’amore di Dio? A questa assemblea diocesana di sabato 11 giugno siamo tutti invitati.

+ Andrea Turazzi