«Riconoscere in ogni cultura “i semi del Verbo”»

La missione come atto di amicizia fra popoli

«Due mamme si incontrano; vanno a gara nel raccontare quello che il Signore ha fatto in loro: una, ormai anziana (non sperava più di poter donare vita), l’altra, la fanciulla di Nazaret, si è trovata incinta per opera dello Spirito Santo. Il motivo del loro canto – le due mamme cantano! – è il bimbo che portano in grembo». Con queste parole il Vescovo Andrea tratteggia la festa della Visitazione di Maria ad Elisabetta. Sorprende la sorgente della gioia delle due mamme: «Un messaggio pertinente, importante e decisivo per questo nostro tempo di culle vuote – sottolinea –; vi trovo anche un forte richiamo alla sacralità della vita nascente, da rimarcare di fronte al rischio dell’assuefazione alla mentalità abortista». La festa della Visitazione è cara al Vescovo per un secondo motivo: «Maria che esce da Nazaret e si incammina è il manifesto di una “Chiesa in uscita”, cioè una Chiesa che va a cercare, si fa vicina, si mette a servizio, pur con il peso dei propri peccati, perché fatta di esseri umani». «È lo Spirito Santo che la mette in cammino», precisa. La Visitazione riporta «al lieto annuncio del Signore che fa visita al suo popolo: tema ricchissimo di armoniche bibliche». Ricordando le vicende storiche del popolo di Israele, mons. Andrea approfondisce il tema della libertà, «uno dei valori indispensabili per la vita di un popolo e di ogni persona». «Ma non qualsiasi modo di esercitare la libertà conduce al vero bene», commenta. «Esiste un modo di essere liberi – prosegue – che devasta l’umanità dell’uomo, la propria e quella degli altri, per questo il Signore, nella sua Provvidenza, ci fa visita, guidandoci per la strada su cui dobbiamo andare». Lo fa in due modi: «Dotandoci della ragione, che è capace di discernere il bene dal male, e parlando direttamente a noi nella Divina Rivelazione». «I dieci comandamenti – osserva – sono un decalogo di libertà» (Omelia nella S. Messa di ringraziamento con i Carabinieri, Pennabilli, 31.05.2022).
L’associazione “Carità senza confini” si è data come titolo dell’incontro annuale di solidarietà il proverbio africano: «Per educare un bambino, serve un intero villaggio». Un proverbio – spiega il Vescovo – «sbocciato dove la vita sociale è scandita dagli eventi famigliari, tessuta di relazioni plurime e ravvicinate (natura, persone, divino, ecc.), trasmessa per lo più dalla tradizione orale». In passato mons. Andrea ha avuto l’opportunità di trascorrere un po’ di tempo ospite del fratello padre Silvio Turazzi, missionario nella Repubblica Democratica del Congo: «Nella missione di Kamituga – racconta – vi era un ambulatorio per l’assistenza alle puerpere. Appena qualche ora dopo il parto la mamma usciva col suo bimbo in braccio. La gente accorreva a farle festa tra canti e suono di tamburi». E conclude: «Non c’è dubbio: qui la vita è accolta come un valore assoluto. È qualcosa che si respira nell’aria. Anche le parole sono superflue!». Mons. Vescovo condivide un’altra immagine dell’Africa: «Il vecchio maestro ha radunato una “nuvola” di ragazzini sotto il grande baobab. Parla. Gli alunni sono attentissimi. La lezione riguarda le vicende degli antenati e temi legati all’iniziazione tribale». Inevitabile il confronto con le liturgie famigliari della tradizione ebraica, in cui ai bambini vengono assegnate domande di rito: «Perché oggi mangiamo erbe amare? Perché questo pane azzimo? Che cosa sono queste leggi e queste istituzioni?». «La risposta – fa notare il Vescovo – è una storia che si incide nei cuori, nelle vite, nella storia di un popolo. Sono parole che hanno fatto un popolo per quello che è». Non si tratta di «parole astratte – aggiunge – ma che hanno il sapore della vita». «E poi – prosegue – ci sono gesti; gesti semplici che non hanno bisogno di troppe didascalie, che catturano fantasia e si imprimono nella coscienza». E afferma: «Non mi sento assolutamente “retrò” quando rilancio il valore del raccontare, sia pure nell’era della comunicazione digitale. Che cos’altro è il cristianesimo se non il racconto di un evento? “Tu va’ e racconta!”» (Saluto all’Incontro di solidarietà di Carità senza confini, Valdragone (RSM), 29.05.2022).
Un freddo giorno di febbraio le monache agostiniane della Rupe, nel ripulire un ripostiglio chiuso da decenni, trovano un rotolo di tela e scoprono che si tratta del ritratto originale del cappuccino fra’ Orazio della Penna, missionario in Tibet per 33 anni e Nunzio Apostolico della missione tibetana. Alla presentazione del ritratto, mons. Vescovo richiama «la realtà dell’incontro: incontro fra culture, fedi religiose e mondi lontani» di cui padre Orazio è stato testimone. Mons. Andrea si sofferma sul concetto di “identità” che racchiude, per ognuno e per ogni gruppo, «la memoria della propria origine, il rimando alla propria famiglia, alla propria cultura, ed è motivo di fierezza». «Ma “identità” – osserva – è parola non senza ambiguità: può racchiudere spinte alla chiusura, alla contrapposizione, all’autosufficienza». L’equilibrio è possibile nell’esperienza del dialogo. «Il dialogo – precisa – è l’incontro fra diversi, dove ognuno resta se stesso ma coglie nell’altro l’originalità e il dono di cui è portatore». Dall’identità alla missione: «Padre Orazio sente la missione come un atto di amicizia fra popoli; offre il messaggio evangelico, ma lo vuole inculturare nella realtà tibetana. Sa riconoscere la ricchezza di quella cultura nella quale vede i “semi del Verbo”» (Saluto alla Presentazione del ritratto ritrovato di fra’ Orazio della Penna, Pennabilli, 21.05.2022).

Paola Galvani, giugno 2022