“Salvare il Natale”

Celebrare la Natività nei giorni di pandemia

Si aspetta Natale: un segno rosso sull’agenda dell’amministratore e nel calendario di casa, uno spartiacque nella storia e una festa condivisa da tanti. Guardo con infinita tenerezza la fanciulla di Nazaret, Maria, una mamma coraggio. Contemplo il frutto del suo grembo e lo adoro Figlio di Dio. “Salvare il Natale”: parola d’ordine in questi giorni… C’è chi dà all’affermazione un significato commerciale (panettone e dintorni), chi un valore affettivo tradizionale (riti familiari). E c’è chi saluta in quel Neonato ogni bambino che apre gli occhi su questo mondo e lo trova pure bello: c’è la sua mamma, il suo tutto! Con queste suggestioni le nostre comunità celebrano, all’inizio di ogni Avvento, la vita nascente con una veglia di riflessione e di preghiera. Alla futura mamma si indirizza questo messaggio: «Pensiamo con affetto a Maria, la mamma di Gesù. Con lo stesso incanto siamo sintonizzati col batticuore di ogni mamma in dolce attesa. Ti siamo grati per il tuo coraggio e la tua generosità e per quella di ogni neomamma, speranza in un mondo ferito. La tua decisione è gioia per tutti!».

“Salvare il Natale” è appello che scende ad altre profondità. Per quel po’ di teologia che ho macinato negli anni austeri dello studio teologico, ho appreso con quanta passione la Chiesa ha tenuto la barra dritta in difesa della verità dell’Incarnazione tra opposte derive (tutte razionalmente plausibili): davvero un Dio si fa uomo! Egli entra nella storia senza alcuna deroga e immunità. La Madre, come ogni altra, si chiede che sarà del suo Bambino. Sogna per lui felicità e ogni bene. Conosce quel che si dice del Messia e ciò che annunciano le profezie a suo riguardo. Col suo popolo già lo invoca Salvatore. Eppure, deve fare i conti con la sproporzione: la “luce delle genti” in quel “fagottino” povero e indifeso. “In che guaio ti sei cacciato, o mio Dio!”. La storia sarà severa con te, come lo è per ciascuno di noi: trepidazione nella crescita, fatica nel cammino, sudore e calli nelle mani, battiti del cuore ed emozioni, prepotenze di invasori stranieri e opposte militanze, accoglienza dei piccoli e ostilità dei potenti, amarezze ed accuse, processo e condanna, tortura e croce. E, nel momento in cui sarebbe necessaria una parola, l’assordante silenzio del Padre. Nella storia il Figlio di Dio corre fin in fondo i rischi della vicenda umana. Nessuna magia. Nessuno sconto. Nessun miracolo per lui. Ci sarà risurrezione, ma “nel terzo giorno”. Il “terzo giorno” non è misura del tempo, ma dimensione trascendente storico-salvifica: Gesù è entrato nella storia per cambiarla dall’interno con la forza del “terzo giorno” e col suo Vangelo. Alla luce di questo mistero ripenso a questi giorni di pandemia. Mi informo. Infondo coraggio. Lavoro, per quanto possibile. Non pretendo miracoli se non quelli che sanno fare il cuore, la preghiera e la scienza. Ci sono fratelli turbati da questa apparente lontananza del Cielo. E io non sono migliore di loro. Altri faticano a comprendere la lezione del “terzo giorno”: la si può apprendere solo con la nuda fede! E ci sono i tanti che non aspettano altro che un colpo di fortuna: chiusi i conti col virus probabilmente non “rientreranno” nella comunità. Dispiace: ci sarà una purificazione. Mi preoccupano le tensioni sociali. Ci saranno da condividere sacrifici e rinunciare a qualche privilegio. Rilancio la preghiera che radica nella prospettiva del “terzo giorno” e mobilita risorse nel presente. Condivido col lettore un’esperienza vissuta tempo fa, ma in qualche modo attuale. Venti di guerra tenevano il mondo col fiato sospeso. Lancio tra i ragazzi della mia città una grande preghiera: “Time out per la pace”. Aderiscono in tanti. Tutti i giorni, alle 12, pausa e preghiera. Appena mezzo minuto, anche meno. Non tengo conto di qualche battuta ironica sull’iniziativa. Non allento la proposta. Cresce il numero di chi aderisce. Purtroppo, piomba su tutti, inattesa, la notizia della dichiarazione di guerra. Deluso e solo prego così: “Del resto Signore, non hai ascoltato la preghiera del Papa, di madre Teresa… figurati se ascolti la mia!”. Sale pian piano dal cuore un’ispirazione di segno opposto, una evidenza: il Signore non disprezza il grido del più piccolo dei suoi figli. “Non dire più: non mi ascolta”. Un Padre ama ugualmente tutti i suoi figli. È continuata la sfida del “Time out”. Si sono allargati cuori. È cresciuto il drappello dei “costruttori di pace”… Proviamo in questi giorni a prendere i Dpcm e i Comunicati non come “un non fare”, ma un “fare diversamente”: inviti a vivere ancora più intensamente – al di là delle necessarie restrizioni – creatività pastorale, presenza caritatevole, sia pure in forme alternative, preghiera più fervorosa e diffusa. Fatto questo è fatto salvo il Natale. Anzi, il Natale salva noi! Auguri!

+ Andrea Turazzi, dicembre 2020