San Giuseppe pieno di Spirito Santo

Anonimo. Ambito Marchigiano-romagnolo XVIII sec. olio su tela, cm 150×205 Cattedrale di Pennabilli (RN)

Un’opera modesta, forse, dal punto di vista della qualità pittorica, ma certamente insolita nella sua iconografia. Si tratta del dipinto su san Giuseppe presente nella Cattedrale di Pennabilli, realizzata da un anonimo operante nell’ambito marchigiano-romagnolo nel XVIII secolo. In ginocchio, sulla nuda terra come le Madonne dell’umiltà, san Giuseppe anziano e stempiato abbraccia teneramente il Bambino Gesù. Per secoli la tradizione l’ha dipinto così per salvaguardare ulteriormente la verginità di Maria, la calvizie però assimila san Giuseppe alla schiera dei saggi filosofi capaci di una particolare penetrazione della realtà. Il mantello giallo oro è l’attributo principale degli uomini di Dio, di coloro che Dio sceglie per i suoi disegni. Quasi sempre, Pietro, ad esempio, indossa un mantello color ocra oro. Il colore frusto dell’abito di Giuseppe, invece, il viola, esprime non tanto la penitenza, quanto la disponibilità al cambiamento: Giuseppe fu uomo docile ai divini voleri. Così in pochi cenni pittorici abbiamo già un prezioso identikit del nostro Santo: umile e sapiente, eletto da Dio quale Padre premuroso del suo divin Figlio, uomo pronto ai suoi comandi. L’attributo del bastone fiorito nasce da un evento raccontato dagli apocrifi. Israele era in gran fermento per l’attesa del Messia che doveva nascere, secondo la profezia di Isaia, da una vergine sposa di un uomo della tribù di Giuda. Maria era stata allevata al tempio con altre fanciulle a questo scopo, così giunto il momento di trovarle marito, il sommo sacerdote invitò tutti i discendenti di Giuda, celibi, a presentare un bastone al tempio con scritto il proprio nome. Il bastone che fosse miracolosamente fiorito (come accadde un tempo alla verga di Aronne) avrebbe indicato il prescelto. Fiorì il bastone di Giuseppe, con un giglio, secondo la tradizione, con dodici piccoli fiori, sei bianchi e sei rossi, secondo il nostro artista. Il “dodici” racconta certamente delle dodici tribù di Israele delle quali Giuseppe è il fior fiore, ma dice anche la totalità dei doni conferiti al santo per la sua missione.
I cieli si aprono in alto quasi a comprovare quanto già simboleggiato dall’artista. Si affacciano due putti con le ali rosse. Due serafini, dunque, infuocati di quell’amor divino che animò san Giuseppe nel suo compito di custode di Gesù e di Maria. Dietro ai due angeli ecco lo Spirito Santo aleggiante sotto forma di colomba. Non è facile trovare una simile iconografia legata a san Giuseppe, ma che egli ebbe una particolare assistenza dello stesso Spirito che adombrando Maria compi l’opera dell’Incarnazione del Verbo, è certo e attestato dalla Chiesa fin dalle origini. Poco si parla di Giuseppe nei Vangeli se non come il Carpentiere, lavoro prezioso che collocava quanti lo facevano come maestri. Ma Giuseppe, sicuramente maestro nell’arte del legno, fu però considerato da sempre il Custode del Redentore, laddove la parola ebraica Custode (Shomer) era assegnata a Dio stesso. Così il luogo oscuro dove l’artista ottocentesco colloca san Giuseppe rimanda a quel titolo felice, coniato di recente per un libro dello scrittore polacco Dobraczynski, che è l’ombra del Padre. E davvero è l’ombra del Padre celeste san Giuseppe, assistito dallo Spirito fin dal giorno in cui accettò la divina maternità di Maria, salvandole la vita e permettendo al disegno di Salvezza di Dio di attuarsi nel silenzio.

suor Maria Gloria Riva, settembre 2021