Vele spiegate al soffio dello Spirito

Pensieri di inizio primavera, quando dischiudono le gemme e vien voglia di uscire e progettare… A che punto siamo del cammino? Anche le nostre fragilità sono a disposizione del soffio dello Spirito.
Il percorso che ci siamo imposti si prolunga come i cavi elettrici bisognosi d’essere sostenuti da altrettanti tralicci, indispensabili quando cala la tensione. Con l’approssimarsi della Pasqua si entra nel vivo della promessa di risurrezione che la Quaresima sta celebrando; non un rito avulso dalla realtà, ma risposta all’inquietudine e alla sofferenza del momento presente: «Essere speranza in un mondo ferito». So di riscontri personali, di iniziative famigliari e di creatività nei gruppi, ma che dire per quanto riguarda la Diocesi nel suo insieme?
L’agenda pastorale è piuttosto asciutta; invita all’essenziale; propone ascolto abbondante della Parola di Dio, sapiente approfondimento e recupero di senso per ciò che accade e turba. L’essenziale non è il minimale, al contrario è il riposizionarsi davanti al “roveto ardente” che ha illuminato e acceso la missione di Mosè, postura oggi indispensabile per superare stanchezze, delusioni, isolamenti. Tenere vivo il fuoco della missione…
Sfogliando l’agenda ci si imbatte in piacevoli sorprese, in risonanze e situazioni che hanno contribuito, nonostante tutto, a rinsaldare i legami. I giovani hanno affrontato lo studio della Fratelli tutti (l’ultima enciclica di papa Francesco). Le assemblee liturgiche hanno accolto con curiosità il grande libro della preghiera, il nuovo Messale Romano. È proseguito l’esercizio metodico della sinodalità con gli incontri dei Consigli. Si è rinforzata la convergenza tra le associazioni laicali sui temi della famiglia e della vita. Anche il Natale, ancorché austero, è stato vissuto con più verità. Ultimamente ci si è ritrovati, sia pure online, per un “pomeriggio unitario” in preparazione al tempo forte della Quaresima.
Quest’anno, si è detto, sarebbe stato anno di missione. Lo è, eccome! Non nella modalità del fare ma dell’essere. È nella dimensione dell’essere che vedo un ulteriore sviluppo di pensiero o di azione per quanto riguarda la missione.
Ogni tanto affiora la critica secondo la quale la Chiesa, in questo tempo, non sarebbe riuscita a dire parole significative, né a fare proposte concrete. Indubbiamente non è facile trovare o creare le condizioni di cultura in una società così smarrita, in balia delle emozioni e per questo poco incline all’ascolto e al discernimento. La nostra Chiesa, tuttavia, prendendo sempre più coscienza della sua vocazione missionaria, è più conscia della situazione culturale in cui vive. Qualcuno evoca l’icona biblica di Davide e Golia. È evidente la sproporzione tra il ragazzo e il gigante; è ben rappresentata l’audacia del piccolo guerriero e lo spavento per le dimensioni dell’impresa: l’urgenza di spendersi per il bene di tutti. Intendiamoci, la cultura non è l’erudizione, ma lo sforzo diretto a far crescere l’umano, ciò per cui l’uomo diviene più uomo (corpo, anima, trascendenza). La cultura è vita e perciò non è esclusivo appannaggio degli specialisti. Ognuno che si ponga consapevolmente davanti alle scelte di vita è nelle condizioni di fare cultura, di dare un contributo alla comune ricerca e di trovare risposte di senso. È stato detto che una delle questioni più inquietanti attorno a noi è il venir meno delle domande. Si può dire, parafrasando sant’Agostino: «Quando dici basta, sei finito»! La testimonianza avrà la forza di «suscitare domande irresistibili» (Paolo VI) che sono al fondo di ogni cuore. Non è sufficiente la risposta personale, occorre mettersi in relazione; non si può prescindere dalla comunità: le mie ragioni del vivere, insieme con le tue ragioni. Così si consolida il tessuto umano. Come dice un proverbio africano: «Per educare un bambino ci vuole un villaggio». Vedo qui il primo nesso fra missione e cultura. Sono indispensabili la ricerca, il lavoro accademico, lo studio del pensiero per comprendere criticamente il cambiamento d’epoca. Ma basterebbe lo zapping sui programmi tv per cogliere il clima culturale dominante. Tutti siamo ingaggiati, ognuno per la sua parte e le sue competenze, in questo progetto missionario di animazione culturale.
Strumento imprescindibile è il dialogo: l’unità dei distinti (G. Lazzati). Papa Francesco suggerisce la metafora del poliedro come confluenza di tutte le particolarità, raccogliendo il meglio di ciascuno, anche se diverso. Le parti non sono annullate, le distinzioni sono rispettate e l’unità è riconosciuta come bene comune. Il dialogo va caratterizzato da chiarezza, da mitezza, da fiducia. Si fonda su una premessa: sono davanti ad una persona. «La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro e di unità» (PAPA FRANCESCO, Convegno di Firenze, 2015).
Siamo ben lontani dalla preoccupazione di “occupare posti”, dal successo mondano e dal calcolo dei numeri. Semmai la preoccupazione è quella di essere autentici. Se il seme lo è «porta frutti secondo la sua specie»! Rimando alla Lettera a Diogneto: i cristiani come anima del mondo.
Il cristiano sa che il protagonista della missione è lo Spirito. Per questo fa della sua povertà la vela spiegata al soffio dello Spirito verso nuovi approdi. Agilissime imbarcazioni – le nostre comunità – apriranno nuove rotte e toccheranno terre sconosciute.
Le chiusure, la non partecipazione, il sottrarsi al cammino di tutti sono il principale ostacolo alla inculturazione della fede. Ci mettiamo in umiltà alla scuola della Pentecoste: porte e finestre spalancate sulle piazze, con la fiducia del diacono Filippo che sale sul carro dello straniero, con la parresia di Paolo all’areopago di Atene.

+ Andrea Turazzi, marzo 2021