«Verrà, te lo dice il cuore» (Dicembre 2017)

Meditazione per il Natale. Regaliamoci una sosta, una meditazione. Esteriormente fervono i preparativi natalizi: sì, il Signore è venuto e noi festeggiamo la ricorrenza, ma il Signore ritornerà secondo la sua promessa. Se l’Avvento è il tempo dell’attesa, la prima cosa da fare è chiederci quali sono le nostre attese. Per qualcuno la chiamata ad un lavoro, l’uscita di un concorso, una promozione in carriera, l’estrazione dei numeri del lotto, l’assegnazione di una casa. Tutte attese molto terrene, ma che ci forniscono un parametro di come vivere l’attesa del ritorno di Cristo. C’è anche chi non attende nulla e nessuno: forse vive giornate tristi e monotone. E c’è chi si aspetta ormai solo catastrofi e disastri. Il Vangelo scandisce di frequente l’invito di Gesù: «Vegliate!» (Mc 13,33). È quanto viene chiesto al credente nel tempo dell’Avvento e per tutto il tempo. L’attesa è una dimensione della vita cristiana: un atteggiamento permanente. Il Signore, ammoniscono le Scritture, è come uno che è partito per un viaggio. Sembra lontano, assente.
«Vegliate», perché è facile cedere al dormiveglia. Celebre la leggenda di Dracula: il vampiro si attacca alla persona che dorme e, mentre ne succhia il sangue, le inietta un liquido soporifero che la fa addormentare ancora di più. Questo succede anche sul piano morale; qualunque sia il vampiro, addormenta la coscienza, per cui non si sente più neppure il rimorso: si crede di star bene e non ci si accorge che si sta morendo “dentro”. «Vegliate», perché è facile lasciarsi cullare dai sogni. Il sogno ha due caratteristiche. La prima è la brevità: nel sogno le cose non durano come nella realtà; situazioni che richiederebbero giorni e settimane, come la scalata di una montagna, avvengono in pochi minuti. La seconda caratteristica è l’irrealtà: uno sogna di essere ad un banchetto e di mangiare e bere a sazietà; poi si sveglia e si ritrova con tutta la sua fame e tutta la sua sete. È terribile quando uno non distingue più il sogno dalla realtà: è portato a pensare di poter ottenere tutto e subito, senza sacrificio né sforzo. E allora il risveglio è brusco e amaro.
Gesù invita a fare come il portinaio che osserva con cura chi entra per far passare solo chi è di casa. Può anche riposare, ma con l’orecchio teso a cogliere il minimo rumore. L’attesa dell’Avvento deve tradursi in un attento e rigoroso discernimento sul nostro tempo, su tutta la nostra attività, sulle nostre priorità. L’attesa non è un tempo morto (stand by). Non va confusa con la nostalgia di una bella esperienza spirituale passata: forse che adesso Dio è assente? L’attesa non è impazienza, se il mondo non gira come vogliamo noi. L’attesa non è inazione, ma operosità nella confidenza in Dio. Per la Bibbia l’uomo è illuminato e sostenuto nel suo cammino dalle promesse di Dio di cui attende la realizzazione. Promesse future, eppure concrete. L’uomo attende, ma anche Dio attende. Dio è maestro nell’attesa: attende i suoi figli; attende che diano il meglio di sé, attende la manifestazione dei loro desideri e dei loro sogni. Attende – perfino – che gli concedano un’altra chance per riconquistarli. Mentre percorre il mondo, sente il pianto di un bambino nel deserto (cfr. Gen 21,17). È padre che attende il ritorno del figlio. Amante che seduce la sua amata. Contadino che aspetta che il seme porti frutti. Amico che sta alla porta e bussa.
L’attesa del ritorno del Signore era molto forte tra i primi discepoli di Gesù. Anzi l’attesa metteva ansia, accendeva curiosità, poteva creare equivoci. Col passare del tempo le comunità hanno subìto due contraccolpi allorché «il Signore tarda a venire»: si fanno calcoli, si accentua morbosamente la curiosità, nasce il millenarismo (una tentazione che resterà sempre, più o meno nascosta, tra i cristiani); c’è invece chi si lascia andare, perde lo smalto e l’entusiasmo degli inizi: l’attesa svanisce. Anche oggi di fronte alla verità del ritorno del Signore ci può essere l’atteggiamento di chi censura questo contenuto della fede, lo confina nell’aldilà e lo condanna all’irrilevanza. È invece importante questa articolazione della fede cristiana: è fondamento di speranza; annuncia un salvataggio della storia insieme ad un giudizio. Il mordente dell’attesa tiene desti anche sul presente, perché il Signore viene all’improvviso (questo il carattere della sua venuta). Il Signore “viene” dentro la vita e la storia presente: occorre riconoscerne i passi ora e qui. C’è un appello per l’oggi: non farsi sorprendere sonnecchianti, in una vita cristiana mediocre, senza slanci. Sboccia così il grande tema della speranza.
L’attesa è una prova d’amore e di fiducia. Ne sanno qualcosa gli innamorati che non vedono l’ora di incontrarsi; i genitori trepidanti per il figlio che ancora non rientra. Chi ama sa attendere anche quando l’altro tarda. Arriverà. Glielo dice il cuore. Il Signore che è venuto tornerà. Ecco il cammino: dall’attesa alla speranza, dalla speranza allo sguardo positivo su quanto ci sta intorno – e non per vana ingenuità – a dispetto di chi mette in evidenza solo il male, il negativo, la contraddizione. La spiritualità dell’Avvento educa a considerare il creato, gli avvenimenti, il mondo degli uomini gravido della presenza del Verbo «per mezzo del quale tutto è stato fatto» (Gv 1,3). Si attende, infatti, non per una mancanza, ma per una pienezza, come la donna incinta che attende la nascita del frutto nascosto nel grembo, ma già presente. È Natale: facciamo emergere “i semi del Verbo” sparsi nella creazione!
+ Andrea Turazzi