Alba di Pentecoste (Ottobre 2016)

Inaugurato il nuovo anno pastorale. Consegnati solennemente gli Atti degli Apostoli.

L’anno scorso, autunno 2015, ci fu un grande convegno a Firenze che coinvolse i rappresentanti di tutte le diocesi italiane. In quella circostanza papa Francesco tratteggiò i passi di un cammino comune. Riconsegnò la sua Esortazione apostolica programmatica, Evangelii Gaudium (EG) e di questa sottolineò alcune parole chiave che noi vogliamo fare nostre: sinodalità, promozione del laicato, cittadinanza. Niente di nuovo sotto il sole! C’è chi contrappone papa Francesco ai pontefici che l’hanno preceduto. Niente di più fuorviante. Lui stesso continua a ribadire la continuità di magistero con i predecessori.
Quale la portata di questa ora della Chiesa? Qualcuno pensa a Francesco quasi come ad una parentesi da archiviare presto. C’è chi si ferma alla superficie, allo stile, senza cogliere la vera portata di quanto avviene. Occorre scavare più in profondità. A guidare questo Papa non è una strategia umana, pensata a tavolino, ma un costante discernimento di ciò che lo Spirito dice alla Chiesa e un’obbedienza a Lui. È il primo Papa che non ha partecipato di persona al Concilio. Per lui il Vaticano II è un fatto acquisito, in linea con la grande tradizione della Chiesa, punto di partenza per un passo nuovo. Al cuore del suo pontificato è la nitida auto definizione della Chiesa in Lumen Gentium 1: «La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». Tutto va messo al servizio di questo progetto: Parola, sacramenti, ministero, carismi… Dalla piccola cellula di “due o più” che è la famiglia, alla parrocchia, alla diocesi, tutto deve essere “segno e strumento d’unità”, tramite Gesù, e quindi “germe e inizio del Regno” (cfr. LG, 5). Può sembrare scontata questa idea di Chiesa, che sta dietro a tutto il ministero di Papa Francesco, ma non lo è. C’è sempre la tentazione di venire a patti col mondo, con la politica, l’economia, la cultura dominante. Questo orientamento di fondo si concretizza in quattro linee direttrici. La sinodalità come stile della Chiesa (cfr. il fondamentale discorso di Francesco per il 50° del Sinodo, il 17 ottobre 2015). Per realizzarla c’è bisogno non solo di una spiritualità di comunione, ma anche di strutture corrispondenti in una dinamica di incarnazione. Francesco ci chiama a guardare la Chiesa non come piramide che si incentra nel vescovo e nel papa, bensì in Cristo, con i carismi e con l’episcopato al servizio (cfr. la recente Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede Iuvenescit Ecclesia).
La misericordia: centro della verità del Vangelo è l’Amore di Dio per l’uomo concreto, nella sua storicità, da portare alla perfezione evangelica. La Chiesa come “ospedale da campo” non è altro che una traduzione della metafora del buon samaritano usata da Paolo nel discorso finale al Concilio. Nella Chiesa ci sono le energie per sanare l’uomo. Per questo urge una cultura cristiana, una cultura della risurrezione.
L’incontro: Francesco non parla solo di “dialogo” ma di “incontro”: una realtà che si vive con tutto se stessi, per un reciproco arricchimento. Lungo la storia, molte volte siamo stati deficitari in questo, mentre il cristianesimo è la religione che dice: «È bene che l’altro ci sia».
Povertà: «Come vorrei una Chiesa povera per i poveri»: il Papa vede la forma della Chiesa in Gesù. Diceva già Paolo VI nell’Ecclesiam Suam: «La Chiesa oggi ha due qualità: carità e povertà». Una Chiesa povera è una Chiesa che non poggia su nient’altro che su Gesù crocifisso e risorto.
C’è un libro del Nuovo Testamento che può accompagnare le nostre comunità e nutrire il nostro desiderio di essere discepoli autentici di Gesù e veri missionari del Vangelo. Questo libro si intitola Atti degli Apostoli. In questo libro, più che teorie sulla Chiesa, si toccano con mano la sua vitalità, il suo mistero umano-divino, la sua forza diffusiva, la sua ricchezza di carismi e ministeri. È una Chiesa in uscita che va fermentando il mondo intero. Nella Chiesa degli inizi i momenti di persecuzione e di prova sono vissuti come altrettante opportunità di evangelizzazione e di irradiazione. Anche il naufragio di Paolo a Malta è una metafora che propone alle nostre comunità, se necessario, di alleggerire la nave salvando l’essenziale. L’essenziale è la Carità di Dio e l’amore reciproco. È soprattutto il clima spirituale degli Atti che ci proponiamo di vivere: non è venuta meno la grazia di quei primi giorni, la Parola conserva tutta intera la sua forza e il Signore continua a suscitare nuovi fratelli alla comunità (cfr. At 2,48). Le case dei fratelli sono una piccola chiesa domestica. È emozionante leggere i quadretti di vita fraterna (cfr. At 2,42-47; 4,32-35). Lo scenario che abbiamo di fronte a noi oggi ha molte somiglianze con quello che caratterizzava gli inizi della predicazione evangelica. Anche il nostro è un tempo di nuova semina del Vangelo; l’ambiente culturale è ostile o indifferente. Le comunità cristiane – soprattutto in Occidente – appaiono talvolta marginali, con poveri mezzi umani (comunità piccole, povere, di pochi). È frequente la persecuzione o la “persecuzione educata”. Nei moderni areopaghi la Parola viene accolta con sospetto, talvolta con pregiudizio, quando non è rifiutata e messa a tacere come inattuale. E tuttavia la Parola di Dio accompagna e sospinge la predicazione degli apostoli: infonde coraggio e assicura l’indefettibile presenza dello Spirito Santo. Dalla Pentecoste in poi i segni della presenza dello Spirito si manifestano nella comunità dei discepoli: testimonianza, comunione, franchezza di parola, carismi… Dalla Galilea a Gerusalemme si svolge il percorso di Gesù fino alla Pasqua di Resurrezione. Dopo la Pentecoste, da Gerusalemme sino agli estremi confini della terra e del tempo (cfr. At 1,8) si irradia la missione della Chiesa. I viaggi missionari di Paolo e dei primi evangelizzatori ne sono una formidabile testimonianza.

✠ Andrea Turazzi