All’alba di un nuovo anno (Gennaio 2018)

Bloccati da un passato idealizzato e proiettati senza sosta verso il futuro perdiamo il sapore spirituale del momento presente.

«Già il 2018?!?!». Mi paiono appena ieri i festeggiamenti del 2000. Eppure son passati diciotto anni (gli anni della maggiore età!). Sono sicuro che è un pensiero venuto anche a qualcuno dei miei lettori. Così ho esclamato l’anno scorso: «Già il 2017?!?!», e l’anno prima ancora… Segno inequivocabile dell’età che avanza. Prima non provavo questo indefinibile sentimento. Mi sorprende. All’alba del nuovo anno il tempo mi appare con un altro ritmo. Quand’ero piccolo il tempo trascorreva lentamente e l’estate sembrava l’eternità, piena di sole e di giochi. Adesso l’estate passa come un istante. D’un tratto sfilano i mesi. Le stagioni galoppano. Gli anni mi ingoiano senza che me ne accorga. La nozione del tempo si attenua con l’età fino a sfumare. Talvolta provo inquietudine per non riuscire a contare i giorni. Mi spiazza il versetto del Salmo: «Signore, insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore» (Sal 90,12). Mi sento preso come in un vortice che mi centrifuga. Mi diventa difficile, talvolta, collocare un ricordo nella cronologia della mia vita. È come se il passato si amalgamasse. Qualche remoto dettaglio si presenta ingigantito coi suoi colori e le sue emozioni. È piacevole “naufragare” nei ricordi, ricordi idealizzati. Ma, quando la percezione del tempo che passa s’affaccia, il tempo presente trova tutto il suo valore e tutta la sua consistenza. L’essenziale di una vita non sta nella durata, ma nella pienezza con cui la si vive. «Che giorno è?». Mi rispondo: «È oggi! Ed è il mio giorno preferito. Semplicemente». Ma “vivere il minuto” non mi fa perdere di vista il tempo nel suo insieme. Mi piace Sant’Agostino: «Il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa» (Sant’Agostino, Le Confessioni, Libro XI, 20. 26). So che il passato non ritorna e il futuro non è in mio potere. Guai se la fiamma di una candela, sotto la minaccia degli spifferi, pencola avanti e indietro. Va a finire che si spegne. Così mi riconsegno al presente con una certa solennità, senza rimpianti e senza gli affanni del dopo. Tutt’altro significato ha il “carpe diem” dell’antico poeta latino; per lui non bisogna lasciarsi sfuggire l’attimo: è solo un bagliore nel buio profondo che avvolge l’inverno di questa esistenza; è un po’ come cogliere una rosa sopravvissuta in un angolo remoto del giardino (rosa quo locorum sera moretur; Orazio, Ode 38, Elogio della semplicità, Libro 1). Per noi – se lo vogliamo – “vivere l’attimo” è gustare il senso della vita: anche il minimo “prelievo” è pieno di luce, perché è tutta piena di senso!
Qualche settimana fa ho risposto ad una ragazzina che mi chiedeva come trascorro le mie giornate. Le ha trovate ripetitive e noiose “da morire”. Capisco. Ma a me sembrano bellissime. Vorrei tessere l’elogio della ripetizione. Prendo spunto dal ritornello della Genesi: «E fu sera e fu mattina» (Gn 1,5). Colloco in quest’orizzonte la Liturgia delle Ore che scandisce le mie giornate: permette di “trovar casa” in qualche ora del giorno che scorre veloce. Diversamente la giornata è uno zapping perpetuo. Ogni ora del Breviario (così si chiama la preghiera che trapunta la giornata di un prete, ma anche di molti laici) ha un suo particolare sapore. Con le Lodi apro il giorno e celebro l’arrivo della luce che è Cristo Signore. Chiamo tutte le creature a raccolta per la Lode, specialmente i miei fratelli sammarinesi-feretrani). Con i Vespri raccolgo le ore della giornata per offrirle al Signore, come perle in una collana. Ma non ci sono soltanto “le solite cose”, ci sono anche momenti di evasione, preziosi e rigeneranti, senza orologio. Vivere con pienezza il tempo presente è il miglior antidoto all’accidia nelle sue forme: la pigrizia e l’attivismo che derubano da sé stessi. Talvolta accade che il tono spirituale delle giornate perda di intensità. Allora si corre il rischio del ripiegamento su di sé, o del calo di tensione interiore, o della perdita di gusto nelle cose. Che fare? Mettere Dio al cuore del tempo dell’aridità o del tempo dell’oscurità. «Chi persevera sino alla fine sarà salvato», dice Gesù (Mt 10,22).
✠ Andrea Turazzi