«Allarga la tua tenda…»

Cari amici, perché questa lettera pastorale? Anzitutto per fedeltà ad un appuntamento al quale non voglio mancare, nella speranza di raggiungervi e di avere, prima o poi, una qualche risposta. L’occasione è la prossimità della Pasqua, evento fondamentale per i cristiani, cardine della loro fede, ma anche evento assai significativo per tutti. Idealmente mi collego alla lettera che i Padri della Chiesa inviavano alle comunità per annunciare la data della Pasqua, centro dell’anno liturgico e di tutta la vita della Chiesa. La Pasqua – quest’anno – cadrà il 12 aprile.
L’anno scorso la lettera preparava il grande tema spirituale e pastorale del Battesimo; quest’anno sviluppa uno degli effetti di tale sacramento di ingresso nella Chiesa. È necessario che spenda una parola introduttiva sul titolo della lettera: «Allarga la tua tenda…» (cfr. Is 54,2). Si tratta di un’immagine del profeta Isaia. È evidente l’invito all’apertura: allargare spazi e cuore, invito che vale per singoli e comunità. La metafora della tenda, poi, evoca la sosta nel cammino, dunque qualcosa in movimento. Infine, la tenda è il luogo del riparo dal sole e dalle intemperie, un perimetro che rassicura e avvolge.
Mi sembrava il titolo più adatto per questa lettera dedicata alla Chiesa, la comunità voluta da Gesù, che ha pensato in cammino nella storia, accogliente e senza confini, cattolica nel senso più vero. Sull’argomento ho trovato un’infinità di studi, di prese di posizione, di inchieste. Gli opinionisti, quasi quotidianamente, si scatenano sull’argomento; i vaticanisti ci tengono aggiornati sulle vicende d’oltre Tevere quasi in diretta. Permettete che offra, con stile familiare, qualche pensiero sul tema: quasi una condivisione, una comunione d’anima. Ho raccolto le osservazioni critiche sulla Chiesa; sono tante e non sono una novità, ma non mi lascio prendere dalla smania dell’apologetica, pur necessaria quando è sapiente. Preferisco confidare come vivo nella Chiesa, o meglio, come vivo la Chiesa.
Una delle sviste ricorrenti fra i cristiani è dimenticare che loro stessi sono la Chiesa: ne parlano in terza persona, come dall’esterno. Dico di amare la Chiesa, e il lettore se ne accorgerà scorrendo queste pagine, ma sono consapevole di non renderle sempre un buon servizio ed una buona testimonianza. «Onora tuo padre e tua madre»: estendo il comandamento alla mia relazione con la Chiesa, che mi è madre e maestra di vita. Prego ogni giorno così: «Signore, non guardare ai miei peccati, ma alla fede della tua Chiesa!».
Ogni battezzato può dire: «La Chiesa sono io». E come ogni punto della superficie di una sfera può reggere l’intero, così ogni cristiano porta la Chiesa là dove vive, lavora, soffre, ama. Grande responsabilità! Ad un certo punto – non vorrei sfuggisse al lettore – pongo la questione della “nascita della Chiesa”: forse il momento in cui Gesù chiama i primi apostoli? Certamente un fatto fondamentale; oppure, a Pentecoste, con l’effusione dello Spirito Santo sui discepoli nel cenacolo? Senza dubbio questa è la prima manifestazione della Chiesa nascente.
L’inizio puntuale va cercato nel “sì” di Maria. È nella casetta di Nazaret che Dio si affaccia, con la totalità della sua grazia e con lo svelamento del suo progetto d’amore, sull’intera umanità. Maria lo accoglie: il suo è un “sì” totale, purissimo, completamente aperto alla volontà di Dio. «E il Verbo si fece carne» (Gv 1,14). La Chiesa nasce lì, nell’incarnazione, dove il divino si fonde con l’umano. Nasce in quel primo abbraccio, nel silenzio di Nazaret. E che altro è la Chiesa se non il mondo che si dà a Cristo e da lui si lascia trasfigurare? Dico di più. Nel “sì” assoluto di Maria possono entrare anche i nostri “sì”, con le incertezze, i dubbi, i peccati e le imperfezioni. In un certo modo, la Chiesa nasce in ogni istante nel nostro incontro con il Risorto. In questo senso possiamo dire che la Chiesa è il proseguimento dell’incarnazione. L’amore alla Chiesa non mi impedisce di condannare gli errori, le incongruenze, i peccati degli uomini di Chiesa del presente e del passato. Mi piace di più guardare la grande folla dei santi che popolano il paradiso (sono Chiesa!) e sono passati nella storia lasciando una scia luminosa; dico anche dei santi che incontro ogni giorno, quelli “della porta accanto”. Eroismo e quotidianità, azione e contemplazione, carisma e ministero: come in un giardino a primavera una smisurata varietà di fiori! Il punto di osservazione di un Vescovo è, in questo senso,
privilegiato: nel suo ministero non incontra solo “grane”, ma gode del profumo di santità del suo popolo. Ogni capitoletto della lettera si apre con uno scatto, una fotografia del vissuto ecclesiale: operai che disertano la Messa di Natale, disperazione del profeta Elia, santa Teresa di Lisieux che vuol essere “cuore” nella Chiesa, lo svolgimento di una mattina in Vescovado, a colloquio col Papa. Da questi scatti partono le riflessioni, raggruppate in cinque brevi capitoli: gente di Pasqua, in cammino nella storia, dentro il Mistero della Chiesa, Chiesa col grembiule, Chiesa “in uscita”.
Le immagini che corredano la lettera riportano vedute d’insieme e scorci della cattedrale della Diocesi di San Marino-Montefeltro in Pennabilli. È evidente il passaggio dalla “cattedra” alla cattedrale. Colui che siede sulla cattedra è il Vescovo, garante della fede della Chiesa, perché la successione apostolica è molto più di una trasmissione di poteri: è una inserzione nell’apostolicità della Chiesa, nella sinfonia della comunione con le altre Chiese. Sarei felice che questa lettera potesse essere letta in famiglia, piccola Chiesa domestica.
Della famiglia scriverò un’altra volta. Alla fine della lettura ci si renderà conto di quante altre cose ho tralasciato: dovevo fare i conti con lo spazio e con la pazienza dei lettori. Auguri!

+ Andrea Turazzi, marzo 2020