Battesimo, peccato e redenzione in Lucas Cranach

Lucas Cranach, Allegoria della legge e della grazia, olio su tela di faggio cm 60,2×59,7, 72×59,7, Germanisches Nationalmuseum, Norimberga

In tutto il ’500 il tema del battesimo che ci libera dal dominio della legge e ci pone sotto il dominio della grazia era molto sentito e al centro del dibattito teologico. Basterebbe citare il Tondo Doni, bella opera di Michelangelo che illustra proprio il tema della libertà di cui godono – a differenza degli ignudi pagani ante legem, e persino di Giovanni il Battista che viveva sub lege – quanti vivono sub gratia e sono rivestiti di salvezza grazie alla carne di Cristo, cioè Maria e Giuseppe. Non fa meraviglia che proprio al centro della frattura fra cattolici e protestanti ci fu questo dibattito: il rapporto fra legge e grazia. Così un’opera cinquecentesca di un autore caro alla riforma protestante: Lucas Cranach ci regala una preziosa riflessione sul tema. La firma è discussa perché i Lucas Cranach, furono due: il vecchio e il giovane ovvero padre e figlio; certo però è il titolo: “Legge e grazia” e il tema: “la salvezza operata da Cristo per liberarci dal peccato e dalla morte”.
L’opera è molto elaborata e risente un poco della visione un po’ pessimistica dell’uomo e del suo rapporto con la legge divina, tuttavia ha il pregio di raccogliere in un solo sguardo gli effetti della salvezza operata da Cristo. L’albero della vita divide la scena in due settori che narrano la vicenda umana. A sinistra, sullo sfondo, Adamo ed Eva perdono la comunione con il Padre e rendono necessario il sacrificio di Cristo. Sopra di loro, infatti, c’è già il Cristo risorto che ascende al cielo con il manto intriso del sangue del sacrificio come vuole il testo dell’apocalisse 19,11-13: “Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava «Fedele» e «Verace»: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui. È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio”.
Ma come anche profeticamente scrisse già il trito Isaia 63,1-3: “Chi è costui che viene da Edom, da Bozra con le vesti tinte di rosso? Costui, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza? «Io, che parlo con giustizia, sono grande nel soccorrere». Perché rossa è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel tino? «Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me»”. Il rimedio della legge offerta al popolo di Dio attraverso Mosè mostra la sua inefficacia in primo piano. accanto all’albero centrale vediamo Patriarchi e profeti con Mosè che regge le tavole della legge. La legge era giusta ma l’uomo era incapace di obbedirvi e dunque ecco l’Adamo di ogni generazione (cioè l’umanità) soccombere sotto le insidie del male e della morte (simboleggiate dall’animale mostruoso e dallo scheletro) e dirigersi drammaticamente verso l’inferno.
La pace invade invece la scena di destra. Qui capeggia l’albero della croce e sullo sfondo Maria riceve il Verbo: un piccolo bambino che scende dal cielo già portando la sua croce. Sotto la collina ecco i pastori e più in là le tende di Giacobbe piene di bellezza, come canta il profeta pagano Balaam di Beor nel libro dei Numeri 24,3-6: «Oracolo di Balaam, figlio di Beor, e oracolo dell’uomo dall’occhio penetrante; oracolo di chi ode le parole di Dio, di chi vede la visione dell’Onnipotente, cade e gli è tolto il velo dagli occhi. Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele! Si estendono come vallate, come giardini lungo un fiume, come àloe, che il Signore ha piantato, come cedri lungo le acque». al centro dell’accampamento si scorge un palo con il serpente di rame, innalzato per guarire i figli di Israele, come narra ancora il libro dei Numeri, grande prefigurazione della croce.
Sotto la croce del Cristo vediamo l’agnello dell’apocalisse, ritto e immolato, mentre davanti al sepolcro, cristo esce vittorioso uccidendo con la potenza della sua gloria il male e la morte. L’uomo salvato, è consegnato alla verità dal Precursore, il Battista che reca sopra le vesti di pelo da eremita il mantello rosso del suo martirio. Sullo sfondo dietro alla Vergine s’intravvedono i piedi del cristo che sale al cielo avendo pienamente compiuta l’opera di Redenzione già annunciata ad Adamo ed Eva nella scena di sinistra.
Non c’è un esplicito riferimento all’acqua del Battesimo, ma l’uomo accompagnato a Cristo dal Battezzatore è lavato dalla sorgente di acqua e sangue sgorgata dal costato del Redentore e riceve lo spirito promesso. Pergamene sotto le varie scene recano testi del nuovo testamento (la lettera ai Romani, la lettera ai Corinzi, il vangelo di Matteo e di Giovanni) che esplicitano il significato delle scene. Esistono numerose versioni di quest’opera, ma quella qui illustrata data 1529; siamo distanti 12 anni dalle 99 tesi affisse da Lutero a Wittenberg e il solco della divisione non è ancora così profondo come accadrà in seguito. Qui infatti la Vergine Maria, a differenza di altre versioni, è ben in evidenza e appare come la primizia dei salvati. Perciò l’opera, benché sia rappresentativa del pensiero protestante del rapporto fra redenzione e dannazione e del motto «sola fide», bene si presta ad illustrare quegli effetti salvifici che giungono a noi dal sacrificio di Cristo sulla croce e dalla sua Risurrezione dai morti. Effetti salvifici di cui noi godiamo con il Battesimo che è sepoltura nella morte di Cristo e emersione nella sua risurrezione.

suor Maria Gloria Riva, maggio 2020