Beata Vergine delle Grazie a Pennabilli (Febbraio 2017)

Anonimo, Madonna delle Grazie (1432 ca.), Pennabilli, chiesa di Sant’Agostino (o Santuario della Madonna delle Grazie)

Venerata nel Santuario a Lei dedicato si festeggia il 3º venerdì di marzo di ogni anno.
È colma di solenne maestà la Vergine in trono venerata dai pennesi e da tutti i feretrani sotto il titolo di Madonna delle Grazie. Questo affresco, risalente con tutta probabilità al 1432, ha una lunga storia. Dipinto da un anonimo frescante, si trova nella chiesa un tempo dedicata a san Cristoforo e che, proprio negli anni in cui fu realizzato l’affresco, passò agli Agostiniani (prendendo poi anche il nome di Sant’Agostino). Nel 1475, l’affresco doveva essersi già deteriorato se uno dei pittori più noti e più attivi nel Montefeltro di allora, Pier Giovanni di Piandimeleto (detto L’Evangelista), lo ridipinse quasi totalmente. Un decennio più tardi questa Vergine in trono pianse di dolore: era il terzo venerdì del mese di marzo dell’anno 1489, in piena quaresima. Le lacrime di una madre sono sempre un mistero, tanto più le lacrime di questa Madre, che spuntarono solo dall’occhio destro per scagionare ogni dubbio circa la loro provenienza. Non poteva essere umidità quella che sgorga da un solo occhio, né, tanto meno, perdita che viene dal tetto quella goccia che miracolosamente fuoriesce dal muro. No, la Madonna ha pianto per avvertire i pennesi e i feretrani della sua solerte vigilanza, dell’amorevole vicinanza riservata a un popolo che tanto sempre ebbe a soffrire per la precarietà dei suoi confini e dei suoi governi. Non si può fare a meno di notare che fu, quell’anno, il 1489: e quante volte nel corso della storia umana quella scansione dell’anno ‘89 dovrà far tremare il popolo cristiano? Il 1789 con la Rivoluzione francese, il 1889 con la Dichiarazione di Utrecht, il 1989 con il crollo del muro di Berlino e la conseguente trasformazione dell’ideologia comunista… Come nelle antiche maestà angeli, e qui angeli musicanti, accompagnano la solenne manifestazione di Maria in trono. Maria parla ex cathedra e dice l’eterna parola del figlio. Il suo manto blu petrolio (blu + verde) dice appunto il mistero (blu) di quella vita (verde) che ella ha generato senza concorso d’uomo. Maria è vergine e lo si comprende dal candido rovescio del manto e dai fiori dorati che l’adornano. Sono fiori di cardo, perché il modello biblico cui attinge l’autore è quello del Cantico dei Cantici dove Maria è prefigurata in varie immagini simboliche. Ella è, ad esempio, l’hortus conclusus, cioè il giardino sigillato che è chiaramente rappresentato in ciò che rimane degli affreschi circostanti come quello, appunto, dell’annunciazione. «Come un giglio fra i cardi, così la mia amata tra le fanciulle» canta ancora il Cantico dei Cantici (Ct 2,2). Maria non ci guarda. Tutta la sua funzione materna presso di noi è per il Figlio e in vista del Figlio. Maria porta sempre e solo a Gesù. È, infatti, Gesù colui che Maria guarda. Mentre dà libero sfogo al suo pianto, questa madre dirige il suo sguardo verso l’oggetto della sua compassione e della nostra salvezza. È a quel Figlio che anche noi dobbiamo guardare. Solo Lui ci salverà dai dolorosi «’89» della storia. Guardiamolo, allora, questo figlio, bianco e vermiglio, come ancora lo dipinge il Cantico dei Cantici: «Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile fra mille e mille. Il suo capo è oro, oro puro, i suoi riccioli grappoli di palma» (Ct 5,10-11). Bianco e vermiglio come lo canta Jacopone da Todi nella sua bellissima laude Il pianto della Madonna: Figlio bianco e vermiglio, figlio senza simiglio… Bianco vermiglio e pieno di nobiltà, veste i panni del cavaliere, dell’uomo dal nobile lignaggio. Gesù sta sulle ginocchia della Madre, ritto, come l’agnello dell’Apocalisse, pronto per essere immolato. Sta ritto e ci guarda benedicente. Ed è fissando lo sguardo su di lui che ci accorgiamo del gesto apparentemente casuale che si consuma tra il divino Infante e la Vergine Madre. Proprio sotto il cuore di Maria la mano del Figlio e quella della Madre si sfiorano, tessendo un muto dialogo il cui contenuto è celato nel simbolo del cardellino. Il cardellino che ha i colori del Figlio: il bianco, il vermiglio, il nero e il rosso. Come il cardellino che ama volare tra i cardi, così questo Figlio vola comodamente nel cuore della Madre. Il Cardellino è poi, con il suo petto rosso, simbolo della passione che presto il Cristo sopporterà per amore dell’uomo. Per questa passione, tuttavia, anche noi voleremo liberi nel cielo di una tale Madre, nel Cielo eterno. In ambito pagano il Cardellino rappresentava l’anima dell’uomo che al momento della morte vola via, un’uguale simbologia permane in ambito cristiano. Ecco allora svelato il silenzioso e intenso messaggio di questa Vergine e austera Madre che piange le sue lacrime allorché i suoi figli, ricusando di guardare alla passione del Salvatore, cui tutta la quaresima invita, si tarpano quelle ali che permetteranno loro di volare liberi nell’ora della risurrezione. Il venerdì bello, che ogni anno allieta la quaresima dei feretrani, è accompagnato dal segno forte delle lacrime di questa Madre e dal suo invito materno: rimanere in lei, come lei rimase nel Figlio che, vermiglio di dolore, ci introduce nel biancore luminoso della sua eterna carità.
Monache dell’Adorazione Eucaristica Pietrarubbia