Appunti per nuovi evangelizzatori. Mi capita di valicare talvolta il “Passo della cantoniera”. Nelle settimane precedenti il Natale, passando da quelle parti, mi tornava alla mente il più celebre e più singolare dei “cantonieri” della Bibbia: Giovanni Battista. Lui stesso si attribuisce questo epiteto. La sua missione è quella di “addetto alla strada” per renderla più praticabile, raddrizzando tortuosità, chiudendo buche, spianando il terreno… (cfr. Lc 3,3-6). Su quella strada – il lettore ha già capito che si tratta della strada della vita – può accadere l’incontro decisivo: l’incontro con Cristo. Grazie al “cantoniere Giovanni Battista”.
Grazie a tutti i “cantonieri” che hanno preparato e facilitato il nostro incontro con il Signore! Il Natale è passato da qualche settimana e l’anno nuovo viaggia ormai a pieno regime. Nelle comunità cristiane la preoccupazione ricorrente è di capire come proporre l’annuncio del Vangelo, come essere Chiesa in uscita. Allo scopo si dedicano ore di riunioni, si partecipa a convegni, si cercano novità. Generosi propositi… si fa di tutto per essere accorti “cantonieri”. C’è chi – per chiarezza – avverte che la strada non potrà che essere in salita. C’è chi vede la necessità e l’urgenza di appianare le difficoltà. Torniamo al biblico cantoniere; osserviamo il suo metodo. È uomo di deserto, di sabbia rovente. È un tipo decisamente roccioso. Eppure accorrono a lui in tanti per cercare acqua, ristoro e senso per la vita. Il Battista diventa “pozzo” e più si ritira più attira: strana legge della fisica spirituale!
All’inizio del nuovo anno propongo ai lettori di trar profitto da questa lezione: sfida la nostra superficialità; incoraggia ad andare in profondità, a scavare dentro se stessi, a non trascurare l’interiorità, ad essere fedeli alla preghiera. Si fa strada rimanendo secondo l’invito del Signore: «Rimanete in me…» (cfr. Gv 15,4). Non c’è contraddizione: si parte restando, si va rimanendo. Nelle recenti visite alle fabbriche, incontrando impresari, tecnici ed operai, ho rivolto spesso questa provocazione (ingenua solo apparentemente): «A cosa pensi quando prendi il mezzo per andare in azienda? Perché ogni mattina vai a lavorare?». Le risposte possono pescare a più livelli di profondità, dal livello più ovvio, a quello più ricco di motivazioni. La produzione non dipende dalle risposte. Ma la qualità del lavoro è sicuramente diversa quando le motivazioni sono più meditate e condivise, fino a manifestarsi come dedizione, solidarietà e amore. La profondità rende più solidi, come le radici fanno più robusta la quercia. C’è bisogno di profondità in ogni ambito della vita. Faccio un salto spericolato: applico la riflessione alla tensione missionaria che sta caratterizzando la diocesi in questi anni. La missione non è propaganda, l’evangelizzazione non è attivismo. Non si riorganizza la testimonianza mobilitando truppe e risorse. Occorre partire dalla risposta di ciascuno, dalla profondità del suo cuore.
+ Andrea Turazzi