Buoni cantonieri per strade nuove (Gennaio 2017)

Appunti per nuovi evangelizzatori. Mi capita di valicare talvolta il “Passo della cantoniera”. Nelle settimane precedenti il Natale, passando da quelle parti, mi tornava alla mente il più celebre e più singolare dei “cantonieri” della Bibbia: Giovanni Battista. Lui stesso si attribuisce questo epiteto. La sua missione è quella di “addetto alla strada” per renderla più praticabile, raddrizzando tortuosità, chiudendo buche, spianando il terreno… (cfr. Lc 3,3-6). Su quella strada – il lettore ha già capito che si tratta della strada della vita – può accadere l’incontro decisivo: l’incontro con Cristo. Grazie al “cantoniere Giovanni Battista”.
Grazie a tutti i “cantonieri” che hanno preparato e facilitato il nostro incontro con il Signore! Il Natale è passato da qualche settimana e l’anno nuovo viaggia ormai a pieno regime. Nelle comunità cristiane la preoccupazione ricorrente è di capire come proporre l’annuncio del Vangelo, come essere Chiesa in uscita. Allo scopo si dedicano ore di riunioni, si partecipa a convegni, si cercano novità. Generosi propositi… si fa di tutto per essere accorti “cantonieri”. C’è chi – per chiarezza – avverte che la strada non potrà che essere in salita. C’è chi vede la necessità e l’urgenza di appianare le difficoltà. Torniamo al biblico cantoniere; osserviamo il suo metodo. È uomo di deserto, di sabbia rovente. È un tipo decisamente roccioso. Eppure accorrono a lui in tanti per cercare acqua, ristoro e senso per la vita. Il Battista diventa “pozzo” e più si ritira più attira: strana legge della fisica spirituale!
All’inizio del nuovo anno propongo ai lettori di trar profitto da questa lezione: sfida la nostra superficialità; incoraggia ad andare in profondità, a scavare dentro se stessi, a non trascurare l’interiorità, ad essere fedeli alla preghiera. Si fa strada rimanendo secondo l’invito del Signore: «Rimanete in me…» (cfr. Gv 15,4). Non c’è contraddizione: si parte restando, si va rimanendo. Nelle recenti visite alle fabbriche, incontrando impresari, tecnici ed operai, ho rivolto spesso questa provocazione (ingenua solo apparentemente): «A cosa pensi quando prendi il mezzo per andare in azienda? Perché ogni mattina vai a lavorare?». Le risposte possono pescare a più livelli di profondità, dal livello più ovvio, a quello più ricco di motivazioni. La produzione non dipende dalle risposte. Ma la qualità del lavoro è sicuramente diversa quando le motivazioni sono più meditate e condivise, fino a manifestarsi come dedizione, solidarietà e amore. La profondità rende più solidi, come le radici fanno più robusta la quercia. C’è bisogno di profondità in ogni ambito della vita. Faccio un salto spericolato: applico la riflessione alla tensione missionaria che sta caratterizzando la diocesi in questi anni. La missione non è propaganda, l’evangelizzazione non è attivismo. Non si riorganizza la testimonianza mobilitando truppe e risorse. Occorre partire dalla risposta di ciascuno, dalla profondità del suo cuore.
+ Andrea Turazzi