Comunità e missione

Immagine: Beato Angelico, Pannello del Tabernacolo dei Linaioli raffigurante la “Predica di san Pietro”; 1433, tempera su tavola, Museo Nazionale di Firenze

Nel nostro viaggio alla scoperta della comunità dei primi cristiani riflettiamo sul discorso che san Pietro fa dopo l’evento straordinario della Pentecoste descritto negli Atti degli Apostoli (2,36-38). Qui abbiamo il primo ritratto di una chiesa missionaria. Rispetto al momento dell’ascensione, lo scenario è mutato. La comunità dei discepoli è ormai costituita e coloro che interpellano Pietro sono persone che non hanno conosciuto direttamente il Signore Gesù, ma che vengono attirati da Lui mediante la testimonianza dei discepoli. La chiamata, per queste persone, si sviluppa a partire dall’incontro con l’evento della passione morte e risurrezione di Gesù, evento del quale, al di là del reale coinvolgimento individuale, si sentono responsabili: “Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!”. L’offerta per amore del crocefisso apre l’uomo alla coscienza del suo peccato e alla conoscenza del perdono gratuito di Dio.
“Che cosa dobbiamo fare? Pentitevi e ciascuno si faccia battezzare nel nome del Signore Gesù”. Per quanto grande possa essere il peccato dell’uomo, più grande è il rimedio della misericordia di Dio. L’uomo è capace di rispondere all’amore di Dio e rivolgersi all’amore dei fratelli soltanto quando è liberato dal giogo della colpevolezza che pesa sul suo passato. Questo riconcilia col presente e apre orizzonti nuovi per il futuro dice, infatti, Pietro: “Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore”, lasciando così intendere che proprio l’aver conosciuto il proprio peccato e l’essere stati perdonati rende testimoni – presso altri – dell’Amore di Dio. Ogni comunità cristiana è costituita da peccatori pentiti e perdonati, questo è il denominatore comune dei chiamati. Il collante della vita comune è dunque il perdono: la coscienza del perdono ricevuto rende ogni membro della comunità largo nella compassione e nel perdono vicendevole.
L’incontro col Signore, il suo perdono e il suo amore, solleva dal peso del passato e dà senso al presente, conferendo slancio al futuro, possibilità di generare. E generare, dare vita, dare alla vita nuova speranza, è la missione fondamentale di ogni comunità.

La predica di Pietro nel Beato Angelico

Guardiamo ora come nell’arte è stato visto e riletto il grande discorso di Pietro, possiamo dire il primo documento ufficiale del Magistero petrino. Si tratta di un’opera dell’Angelico che decora un tabernacolo. La corporazione dei Linaiuoli di Firenze stipulò un contratto, il 2 luglio 1433, per la decorazione di un tabernacolo in legno e marmo realizzato un anno prima su disegno di Lorenzo Ghiberti. L’opera, imponente e maestosa, più che a un tabernacolo è assimilabile a una Maestà, o a un portale monumentale. E non sembra causale a corredo di un discorso petrino che fonda, quasi come un portale, la predicazione cristiana.
Il primo pannello della predella presenta la scena della Predica di san Pietro, nel giorno di Pentecoste seguita, al centro dall’Adorazione dei Magi e, all’estrema destra dal martirio di san Marco. Le tre scene sono significative se pensate in relazione a un tabernacolo: la mensa della Parola è in stretta unità con la mensa eucaristica; l’adorazione è il fulcro dell’esperienza di preghiera e della professione di fede nella Presenza reale e, infine, il martirio, è testimonianza suprema della adesione al sacrificio di Cristo.
Nella scena della predicazione di Pietro, l’armonia che regna per l’eleganza degli abiti e dei portamenti, tipica dell’arte dell’Angelico, esprime in modo mirabile il senso di timore che era in tutti e l’unione degli spiriti e degli intenti che regnava nella primitiva comunità. Tutto sgorga dalla predicazione di Pietro, il quale parla da un pulpito esagonale, simbolo di quel sesto giorno della creazione in cui è iniziato il cammino dell’uomo e la consapevolezza del suo peccato. L’autorevolezza di Pietro, oltre che dal colore dei suoi abiti, il blu del mistero e l’oro dell’elezione divina, è certificata da Marco il quale, ai suoi piedi, scrive puntualmente ogni sillaba dell’apostolo, assistito da due discepoli.
Le donne, rappresentate nei loro diversi ruoli: giovinette, fidanzate, sposate e vedove, siedono in atteggiamento di ascolto. All’estrema destra un altro discepolo veste il blu del mistero mentre, accanto a lui e dall’altro lato, una donna e un uomo benestanti sembrano essere colti di sorpresa dalle parole dell’Apostolo. Costoro vestono lo stesso rosso rosato che tinge la chiesa alle spalle di Pietro. L’anacronismo è voluto. Sono appunto quelli che, non per aver conosciuto Cristo bensì per la predicazione degli apostoli, hanno permesso alla Chiesa di espandersi e diffondersi in tutto il mondo. Il rosso acceso sembra alludere a quella carità che dovrebbe caratterizzare i rapporti entro la comunità dei credenti, tema caro a Luca e presente come leitmotiv in tutto il libro degli Atti.

suor Maria Gloria Riva
Pietrarubbia, ottobre 2022