Costruire comunità attorno alla fede pasquale (Ottobre 2018)

Mi succede di ripetere di frequente e con entusiasmo, per iscritto o con parole, il sogno che porto in cuore; un sogno che può realizzarsi nella preghiera. Eccolo: vorrei salissimo insieme al sepolcro, dove era deposto Gesù, per rivivere lo stupore e la gioia delle donne e dei primi discepoli e per sentir risuonare, come la prima volta, l’annuncio: «Gesù è risorto. Non è qui. È vivo!».
Vorrei stringere forte la mano di chi è in cammino ma esita perché si trova in un momento di buio, di chi non ha speranza ed in cuor suo ha già detto «basta!», di chi sulla soglia del sepolcro ha già dovuto affacciarsi e vi ritorna piangendo. Ma, proprio lì, il dono inatteso. Dall’oscurità alla luce: «Io sono con voi – dice il Risorto – tutti i giorni» (Mt 28,20).
Ci fu un andirivieni mattutino attorno al luogo dove era stato deposto Gesù. Lì sono riprese vita, speranza, relazioni nuove. È stata ribaltata la grossa pietra, impossibile da rimuovere da mani e braccia deboli e cadenti. Nell’oscurità – tale era la condizione delle donne e dei discepoli in quel primo giorno della settimana – è cominciata a brillare la luce. Il prodigio che ogni mattino si rinnova è appena una metafora della vittoria della risurrezione.
Nei racconti pasquali, secondo quanto riferiscono i Vangeli, ritorna più volte il verbo “correre”: corrono Pietro e Giovanni, corrono le donne, corrono i discepoli di Emmaus. Ma c’è anche chi è perplesso, dubita, si interroga. È davvero grande e incredibile quello che è successo la mattina di Pasqua!
Penso sia indispensabile per i cristiani del terzo millennio tornare alle radici della fede e dare solidità ad essa: «Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede» (1Cor 15,14).
Qualcuno pensa che la nostra condizione rispetto a quella dei primi discepoli sia di svantaggio: loro hanno visto il Risorto. In realtà, nei racconti pasquali c’è un dato ricorrente: i discepoli non riconoscono Gesù. È accaduto a Maria di Magdala, che scambia il Signore per l’ortolano del giardino; ai discepoli di Emmaus che pensano d’aver incontrato uno sbadato viandante; agli apostoli sul lago che intravvedono sulla riva uno sconosciuto che chiede loro da mangiare, ecc. Sarà la parola pronunciata da Gesù ad aprire i loro occhi; una parola che pronuncia il nome con amore: «Maria!» (cfr. Gv 20,16); una parola che spiega le Scritture (cfr. Lc 24,27); una parola che invita a gettare nuovamente le reti «dall’altra parte della barca» (cfr. Gv 21,6). Non è diverso il nostro punto di partenza: anche noi riconosciamo il Risorto quando ascoltiamo e viviamo la sua Parola. Allora il cuore si riscalda, ritroviamo la forza che fa ricominciare e constatiamo la presenza del Signore nella nostra vita. Non è sentimentalismo: sulle Scritture si gioca un contatto oggettivo, vero e reale, con il Signore.
È importante, utile e bello far circolare i nuovi racconti pasquali comunicando esperienze di incontro col Risorto e di esistenze rinnovate dalla Pasqua. È un peccato tenere per sé quello che può essere ricchezza per tutti: racconti semplici, a volte sommesse confidenze, altre volte fraterne condivisioni o coraggiose testimonianze. Racconti che fioriscono come un ricamo sulla stoffa del nostro quotidiano: in famiglia, sul posto di lavoro, nello sport… Del resto, Gesù ha incontrato gli amici non solo nella sacralità del cenacolo, ma anche nella locanda, sulla strada, sulla riva del lago. Così si è formato quel tesoro che è il Nuovo Testamento. In fondo il Vangelo è un “racconto”, naturalmente con un valore unico (canonico). Un giorno Gesù disse ad un ragazzo che aveva guarito: «Va’ e racconta» (cfr. Lc 8,39). Simile l’imperativo affidato ai discepoli sul monte dell’Ascensione (cfr. Mt 28,19-20). Facciamo comunità attorno alla fede pasquale.
+ Andrea Turazzi