“Dalle tenebre alla luce”

Domenica 26 gennaio abbiamo celebrato, sotto indicazione del Papa, la giornata della Parola di Dio. Il Pontefice ci ha guidati a guardare alle origini di questa Parola con una domanda: «Come iniziò Gesù la sua predicazione? Con una frase molto semplice: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. Dio è vicino: ecco la novità! E questa vicinanza di Dio al suo popolo è un’abitudine sua, anche dall’Antico Testamento. Diceva Dio al popolo: “Pensa: quale popolo ha i suoi dei così vicini, come io sono vicino a te?”. E questa vicinanza si è fatta carne in Gesù. Gesù ripete oggi anche a te: “Coraggio, ti sono vicino, fammi posto e la tua vita cambierà!”. Gesù bussa alla porta. La sua Parola ci consola e incoraggia. Allo stesso tempo provoca la conversione, ci scuote, ci libera dalla paralisi dell’egoismo. Perché la sua Parola ha questo potere: di cambiare la vita, di far passare dall’oscurità alla luce. Questa è la forza della sua Parola. Gesù non ha paura di esplorare i nostri cuori, i nostri luoghi più aspri e difficili. Egli sa che solo il suo perdono ci guarisce, solo la sua presenza ci trasforma,
solo la sua Parola ci rinnova» (26 gennaio).
Guardiamo allora, su invito del Papa, al « pianto di Davide per la morte cruenta del figlio, che gli si era rivoltato contro», come «una profezia che ci mostra il cuore di Dio, cosa fa il Signore con noi quando ci allontaniamo da Lui» (Santa Marta, 4 febbraio).
«La frase di Davide: “Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio” è profetica – ha affermato ancora – e in Dio si fa realtà» (4 febbraio). «Allora i “poveri in spirito” – di cui parla Gesù nelle Beatitudini, oggetto di riflessione del Pontefice nelle attuali Udienza del mercoledì – sono coloro che sono e si sentono poveri, mendicanti, nell’intimo del loro essere. Se non accetto di essere povero, prendo invece in odio tutto ciò che mi ricorda la mia fragilità.
Ognuno – afferma il Papa – sa bene che, per quanto si dia da fare, resta sempre radicalmente incompleto e vulnerabile. Non c’è trucco che copra questa vulnerabilità. Ma come si vive male se si rifiutano i propri limiti! (Udienza generale, 5 febbraio).
Gesù invece piange «perché noi non lasciamo che Lui ci ami». Quindi rivolge un invito: «Nel momento della tentazione, nel momento del peccato, nel momento in cui noi ci allontaniamo da Dio, cerchiamo di sentire questa voce: “Figlio mio, figlia mia, perché?”» (4 febbraio). «Per avere quindi lo sguardo giusto sulla vita chiediamo di saper vedere la grazia di Dio per noi, come fece il vecchio Simeon. Il Vangelo (della Presentazione del Signore al Tempio) ripete per tre volte che egli aveva familiarità con lo Spirito Santo, il quale era su di lui, lo ispirava, lo smuoveva. Aveva familiarità con lo Spirito Santo, con l’amore di Dio. La vita consacrata – che il 2 febbraio abbiamo celebrato – se resta salda nell’amore del Signore, vede la bellezza» (Santa Messa per la XXIV Giornata Mondiale della Vita Consacrata, 1 febbraio).
Il Santo Padre esorta quindi tutti i consacrati a «guardare indietro, rileggere la propria storia e vedervi il dono fedele di Dio». E fa notare: «Il tentatore, il diavolo insiste proprio sulle nostre miserie, sulle
nostre mani vuote. Noi vediamo che ciò in parte è vero e andiamo dietro a pensieri e sentimenti che ci disorientano. E rischiamo di perdere la bussola, che è la gratuità di Dio».
Ma questo è «la tentazione dello sguardo mondano, che azzera la speranza». Mentre se «guardiamo al Vangelo e vediamo Simeone e Anna: erano anziani, soli, eppure non avevano perso la speranza, perché stavano a contatto col Signore. Chi sa vedere prima di tutto la grazia di Dio scopre l’antidoto alla sfiducia e allo sguardo mondano.
La vita consacrata – sottolinea ancora il Papa – è questa visione. Il segreto è non allontanarsi dal Signore, fonte della speranza. Diventiamo ciechi se non guardiamo al Signore ogni giorno, se non lo adoriamo. Adorare il Signore! Allora anche i nostri occhi vedranno la salvezza» (1 febbraio).
«Dobbiamo anche – prosegue il Pontefice – proteggere il nostro cuore dalla malattia dell’invidia, da
questo chiacchiericcio con me stesso, che fa crescere questa bolla di sapone che poi non ha consistenza, ma fa tanto male». Il geloso «è infatti incapace di vedere la realtà», e solo «un fatto molto
forte» può aprirgli gli occhi (Santa Marta, 24 gennaio). Questa, come altre «malattie dell’anima vanno guarite e la medicina è chiedere il perdono» (Santa Marta, 17 gennaio).
Da qui può nascere nel nostro cuore il contraltare dell’invidia che è la compassione. «La compassione coinvolge, viene dal cuore e coinvolge e ti porta a fare qualcosa. Compassione è patire con, prendere la sofferenza dell’altro su di sé per risolverla, per guarirla. E questa è stata la missione di Gesù» (Santa Marta, 16 gennaio).

Monache dell’Adorazione eucaristica – Pietrarubbia, marzo 2020