Maestro di Alkmaar (o attribuito a Cornelis) Dar da bere agli assetati, Altare di Alkmaar, tempera su tavola
Nell’altare di Alkmaar è ancora un villaggio tutto fiammingo ad accogliere la seconda opera di misericordia corporale: dar da bere agli assetati. La solarità della scena lascia intendere una giornata asciutta e dunque capace di suscitare la sete in tutti, viandanti, pellegrini e poveri. Dal porticato di una casa signorile escono marito e moglie recando tre brocche, tre come la Trinità che è la prima a dissetare l’uomo nel suo desiderio di eternità. Nella foga generosa del dono, il padrone di casa compie un gesto persino maldestro e lascia cadere una manica del manto, liberando il braccio con cui serve il pellegrino che gli sta dinanzi. L’uomo è reduce da un lungo viaggio lo capiamo dal capo rasato tipico di colui che, pernottando in luoghi di fortuna ha contratto o teme di contrarre pidocchi. In primo piano due poveri, uno storpio e un fanciullo attendono pazientemente il loro turno. In coda vediamo anche una donna col suo bambino e un altro pellegrino, tutti desiderosi di dissetarsi. I gradini della casa sono azzurri come i riflessi delle brocche di metallo. Quella casa offre da bere agli uomini, non per filantropia, ma in nome della fede. Sullo sfondo scopriamo, come nel precedente pannello (dar da mangiare agli affamati), la presenza di Gesù. Questi non fissa gli occhi sui bisognosi, ma sulla famiglia che si prodiga nell’aiuto e nel servizio. Sono indicazioni semplici mediante le quali il maestro di Alkmaar vuole affermare ancora una volta che Cristo si rende presente in coloro che in suo nome o per amor suo fanno opere di carità. Cristo si colloca tra questa scena frontale e una seconda sullo sfondo. Sembra una ripetizione della prima scena: una donna esce di casa con la brocca in mano per dissetare un bambino e il padre. Notiamo però che il padre è cieco, si appoggia al figlio e tiene il bastone in mano tastando il terreno dove cammina. È il bambino la sua guida. Come questo espediente simbolico l’artista vuole richiamare anche la seconda opera di misericordia spirituale: insegnare a chi non sa. Nel cieco, infatti, è indicato chiunque sia incerto nel suo andare e quindi non conosca la via, chi è nella cecità dell’ignoranza. Il bambino mentre cerca l’acqua della sapienza compie anche l’ ufficio prezioso di indicare il cammino all’adulto. Dall’Olanda ci spostiamo a Firenze. Pare essere il luogo delle nozze di Dante e di Gemma Donati, la chiesetta di San Martino al vescovo, accanto alla grande Badia Fiorentina. La chiesa, del X secolo, era patrocinata dalle Famiglie Donati e Alighieri ed è vicinissima alla casa del grande poeta. Nel basso medioevo cessò la funzione parrocchiale e la chiesetta venne affidata a una compagnia assistenziale fondata dal vescovo san Antonino.
È proprio il suo ritratto ad accoglierci nella lunetta sopra la porta della chiesa. All’interno, altri affreschi narrano la vita di San Martino e le opere di misericordia corporale, impegno quotidiano della Compagnia dei Buonomini. Così infatti si chiamava la confraternita fondata da Sant’Antonino. Dodici uomini, nel 1441 si unirono con lo scopo di soccorrere quelle famiglie benestanti che, a causa di lotte politiche, cadevano in disgrazia. Se fino al XIV secolo esistevano solo Spedali generici o confraternite con varie denominazioni, dal XV secolo in poi si svilupparono strutture con scopi differenziati e precisi, come da esempio lo Spedale degli Innocenti.
I Buonomini, presenti ancora oggi a Firenze, avevano il compito di soccorrere li poveri verghognosi, quelli che cioè – essendo incorsi dopo un tracollo finanziario nella povertà – non erano avvezzi a chiedere l’elemosina o a vivere da poveri. Vestivano di nero con un copricapo rosso e suscitarono una tale ammirazione presso la popolazione da indurre per- sino il severissimo Savonarola a elargire loro un lascito di ben 3.000 fiorini. Il detto essere ridotti al lumicino deriva proprio da questa Compagnia, la quale, allorché giungeva all’ estremo bisogno di denaro accendeva una candela alla porta d’ ingresso quale richiamo ai più generosi.
Nella lunetta che raffigura «dar da bere agli assetati e dar da mangiare agli affamati» il quadro offerto è del tutto singolare. Qui si distribuisce non l’acqua della sapienza, come suggerisce l’ opera fiamminga di Alkmaar, ma del buon vino e si distribuisce del buon pane. Il rimando all’Eucaristia è evidente ed anche chiara la sovrabbondante generosità della compagnia dei Buonomini. Essi dissetavano non solo dando il necessario, l’acqua, alimento primordiale, ma offrendo quel vino della gioia e della grazia che forse, ancora più dell’ acqua rimanda alla misericordia che ci ha usato il Salvatore donando il suo corpo e il suo sangue per la nostra salvezza.
* Monache dell’Adorazione Eucaristica Pietrarubbia