Eucaristia e Missione in Arcabas

Arcabas, ciclo sui discepoli di Emmaus. Il ritorno 1994

Il sipario di Arcabas si chiude sulla scena vuota. Non è rimasto più nessuno nella locanda: solo il tavolo con la cena interrotta, una sedia rovesciata, il tovagliolo abbandonato e, fuori, la notte del giorno più lungo della storia. Giorno in cui tutto si ricapitola.
Il cielo è pieno di stelle e conduce all’antica promessa fatta ad Abramo: la tua discendenza sarà più numerosa delle stelle del cielo. Sì, le stelle sono i figli di Dio che attendono l’annuncio, sono i cuori che ardono dal desiderio di verità e bellezza, che attendono l’incontro con Cristo, via verità e vita, il Bellissimo del Padre.
Se, parlando di missione, un tempo si pensava ai milioni di uomini donne e bambini che ancora non hanno ricevuto il battesimo, oggi lo sguardo si sposta drammaticamente sul panorama dell’Occidente, cristiano per tradizione, ma lontano dalla fede, quando non ostile. Anche qui i discepoli di Emmaus ci offrono una riflessione importante: essi corrono ad annunciare il Risorto non a quanti non conoscevano Gesù o non ne avevano mai sentito parlare, ma ai discepoli, agli apostoli chiusi nel Cenacolo che vivevano nella paura e nello sgomento.
Così, quella porta aperta lascia supporre moltissimo: lascia indovinare il mondo là fuori, oltre Emmaus, oltre l’incontro. Cleopa e l’amico scappavano dal Calvario e dai suoi panorami cupi e ora vi ritornano con la vittoria sulla morte nel cuore. La gioia dell’incontro è tale, la voglia di comunicarla agli altri è così impellente che non hanno avuto il tempo di curarsi della sedia caduta e della porta lasciata aperta. Il loro mondo interiore è totalmente trasformato, non vivono più nel timore, tesi a conservare loro stessi, ora vivono nello slancio del dono. In essi urge la missione, come dice la Redemptoris Missio: «L’urgenza dell’attività missionaria emerge dalla radicale novità di vita, portata da Cristo e vissuta dai suoi discepoli. Questa nuova vita è dono di Dio, e all’uomo è richiesto di accoglierlo e di svilupparlo, se vuole realizzarsi secondo la sua vocazione integrale in conformità a Cristo. Tutto il Nuovo Testamento è un inno alla vita nuova per colui che crede in Cristo e vive nella sua Chiesa. La salvezza in Cristo, testimoniata e annunziata dalla Chiesa, è auto comunicazione di Dio: «È l’amore che non soltanto crea il bene, ma fa partecipare alla vita stessa di Dio: Padre, Figlio e Spirito santo. Infatti, colui che ama, desidera donare se stesso» (RM, 7). Non a caso la sorgente della gioia dei due scaturisce dal pane spezzato, cioè dal Sacramento dell’Amore per eccellenza, dalla “memoria” del dono che Gesù fa di se stesso ai suoi. L’Eucarestia, infatti, è culmine cui tende tutta l’attività della Chiesa, e insieme sorgente da cui promana ogni sua energia (Costituzione Sacrosanctum Concilium).
Con acutezza Arcabas ci lascia con questo finale sospeso, ci lascia nell’abbraccio di una tavola che è stata ed è anche per noi oggi il luogo della Rivelazione: “Dall’Eucaristia viene totalmente determinata la missione della Chiesa. Nell’Eucaristia la Chiesa prende coscienza e forza per la missione. Dall’Eucaristia riceve le leggi della missione. All’Eucaristia conduce gli uomini raggiunti dalla missione”. E concludeva il Card Martini nella sua lettera Partenza da Emmaus (1983-84): “Dobbiamo – dunque approfondire il rapporto tra Eucaristia e missione”.
La tavola di Arcabas ci aiuta ad approfondire l’annuncio missionario: sui piatti in primo piano si scorgono due posate lasciate, quasi distrattamente, in forma di croce, mentre la tovaglia, afflosciata sulla tavola, evoca quel telo sindonico che Giovanni e Pietro videro all’interno del sepolcro. Eucaristia, croce e risurrezione sono, dunque, il contenuto principale di ogni annuncio cristiano. Se da un lato l’Eucaristia è sorgente della missione (come recitava il titolo del Congresso Eucaristico di Genova nel 2016) dall’altro «la Chiesa non può fare a meno di proclamare che Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio e a meritare con la croce e la risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini». Credo che un degno commento conclusivo a questa immagine, e a tutto il ciclo di Emmaus che abbiamo percorso, lo offra la preghiera che il Card. Martini mise idealmente sulle labbra dei due discepoli nella lettera sulla missione Partenza da Emmaus, della quale si citano alcune battute: “Signore Gesù, grazie perché ti sei fatto riconoscere nello spezzare il pane. Mentre stiamo correndo verso Gerusalemme e il fiato quasi ci manca per l’ansia di arrivare presto, il cuore ci batte forte per un motivo ben più profondo. Dovremmo essere tristi, perché non sei più con noi. Eppure ci sentiamo felici. La nostra gioia e il nostro ritorno frettoloso a Gerusalemme, lasciando il pasto a metà sulla tavola, esprimono la certezza che tu ormai sei con noi. Signore Gesù, ora ti chiediamo di aiutarci a restare sempre con te, ad aderire alla tua persona con tutto l’ardore del nostro cuore, ad assumerci con gioia la missione che tu ci affidi: continuare la tua presenza, essere vangelo della tua risurrezione. Signore, Gerusalemme è ormai vicina. Abbiamo capito che essa non è più la città delle speranze fallite, della tomba desolante. Essa è la città della Cena, della Croce, della Pasqua, della suprema fedeltà dell’amore di Dio per l’uomo, della nuova fraternità. Da essa muoveremo lungo le strade di tutto il mondo per essere autentici Testimoni del Risorto. Amen»

suor Maria Gloria Riva, maggio 2021