Giorni difficili? Ma gettare la spugna non è evangelico (Febbraio 2018)

Riflessioni sul dovere della partecipazione. Giorni di accese polemiche e di febbrili dibattiti: l’Italia sta per darsi un nuovo parlamento. Evviva l’Italia. È impossibile prevedere l’esito delle prossime elezioni politiche: mentre si configurano alleanze i sondaggi oscillano. Si teme l’astensionismo: grave segno di sfiducia. Si corre ai ripari. Sarà troppo tardi? Anch’io sono tra chi ricorda il dovere della partecipazione. Col voto anche tu governi. Tra i cattolici l’impegno politico, in questo periodo, sembra non avere particolare credito. Da dove viene questa riserva? Da quale radice? Mentre negli anni ‘70 tutto doveva essere “politico”, compresa la Chiesa, oggi il contesto generale è caratterizzato dalla disillusione, dalla sfiducia e dall’individualismo. C’è chi ha deciso; ha idee chiare e ha fatto la sua scelta. C’è chi non sa; aspetta l’ultimo momento e dà il suo voto lasciandosi guidare la mano da uno slogan o da un volto, senza preoccuparsi di una visione d’insieme o di un progetto di società. Molti sono in imbarazzo: non si sentono rappresentati del tutto e, pur avendo preferenze, non sentono difesi i valori ai quali fa riferimento la loro coscienza. Più in generale: mi chiedo se non vi siano anche ragioni sottotraccia legate al modo di pensare dei cattolici. Forse una delle ragioni del “sospetto” è collegabile alla difficoltà di comprendere e saper vivere il conflitto. La politica divide – si dice –, mentre Dio vuole la concordia e l’unità. È un errore confondere conflitto con violenza. Il Vangelo chiede di rinunciare alla violenza e all’odio: «Chi di spada ferisce, di spada perisce» (cfr. Mt 26,52). La caratteristica del politico, semmai, è di cercare (di trovare) procedure che permettano la gestione dei conflitti, come l’ascolto, il dialogo, il dibattito, il voto, il rispetto delle minoranze, ecc. Solo le società totalitarie si propongono di eliminare completamente il conflitto. Gesù, in verità, non ha detto «non abbiate nemici», ma «amate i vostri nemici». Evidentemente supponeva che i discepoli ne avrebbero avuti! Una seconda ragione del “sospetto” potrebbe essere la questione del potere. Si ritiene impossibile far politica senza trasgredire la morale: mentire per aver vantaggi, dir male dei propri avversari, tradire le proprie convinzioni pur di governare, ecc. Ho reagito in più occasioni contro il pregiudizio, superficiale quanto inaccettabile, secondo il quale la politica sarebbe “cosa sporca” e i politici, prima o poi, finiscano per essere dei corrotti. Sì, la Chiesa diffida del potere. Ha ragione: nel corso dei secoli vi è stata vicina. Il Vangelo mette in guardia dal rischio di attaccarsi al potere. Chi adora il potere, offende Dio. Non è un caso che il diavolo, nella tentazione nel deserto, chiede a Gesù di prostrarsi ad adorarlo: «Allora, tutto sarà tuo!» (cfr. Mt 4,9). Ci vuole vigilanza. Non basta una risoluzione morale astratta e generica. La tentazione, quando si presenta, è sempre seducente. Un suggerimento, allora, può essere – vale per il candidato all’esercizio della politica, come per il gruppo che lo sostiene – quello di cercare una compagnia di amici disponibili alla riflessione comune, al discernimento e alla correzione. Ma è utile darsi anche momenti di preghiera personale e di revisione di vita. Ci sono uomini politici nella storia che hanno testimoniato la santità nel corso del loro servizio: Tommaso Moro, Alcide De Gasperi, Giorgio La Pira, ecc. Può essere utile, inoltre, cercare un equilibrio fra attività politica e vita professionale e familiare. In ogni caso, mai usare o manipolare gli altri per il proprio tornaconto: ragionare in termini di “noi”, cioè di bene comune, piuttosto che mettere avanti il proprio interesse familiare o “di parte”. Chi non si lascia dominare dal potere sa cedere il posto ad altri, quando il tempo o l’opportunità lo richiedono. Credersi indispensabili è una vera tentazione. Parlare, dunque, di “potere” in termini di servizio non è cercarsi l’alibi per la propria ambizione. Tutt’altro. Il servizio non dovrà essere una parola campata in aria, ma la misura dell’autentico impegno politico. Una pagina evangelica potrebbe fare sempre da specchio: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato…» (Mt 25,35). Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate ripropone la politica come una delle più alte espressioni della carità. Mi piace fare mia la lezione che viene dall’antica Repubblica di San Marino, in cui i Capitani Reggenti si mettono a disposizione per sei mesi e poi passano la mano. Una lezione pratica e ideale di etica politica in cui il potere viene “ricevuto” e “restituito”: non ha origine nella persona che lo esercita, che è sempre e comunque a servizio. Gettare la spugna, scoraggiarsi, non voler esercitare nessun potere, non ha niente di evangelico. Evangelico, semmai, è esercitare una funzione politica ed elettiva essendo fedeli al già citato testo di Matteo 25 e – perché no? – ricordare il detto di Gesù: «Siamo servi “senza un utile”». Traduzione più corretta del consueto «siamo servi inutili» (cfr. Lc 17,10). Ecco la politica come buona notizia: vedere, giudicare, agire con gratuità.
✠ Andrea Turazzi