Il battesimo nascosto nella presentazione di Massys

Quentin Metsys or Massys il vecchio, Presentazione nel tempio (ca. 1510-1520), olio su tavola, Collezione Bentinck-Thyssen (Olanda)

Quentin Massys ha voluto racchiudere tutto in pochissimo spazio: il tempio, Simeone, Anna, Giuseppe, Maria e il piccolo Gesù, rendendo pittoricamente l’idea di un mistero profondissimo che nella sua semplicità raggiunge i secoli futuri. Anche il nostro. Si tratta della Presentazione di Gesù al tempio, un momento della vita di Cristo determinato da due diversi passi della legge di Mosè. Il primo riguarda la Madonna: dopo il parto – essendo venuta a contatto con il sangue del Bambino – ogni madre doveva svolgere un rito di purificazione prima di partecipare di nuovo alle liturgie. Maria non ne avrebbe avuto bisogno essendo Gesù nato senza i dolori del parto e in un’estasi di luce (come attestano molte mistiche che narrano la vita di Gesù e di Maria) ma ugualmente, fedele alla legge, si avvia al Tempio per adempiere il precetto. Il secondo riguarda Gesù: ogni primogenito maschio apparteneva al Signore e quindi la famiglia lo riscattava offrendo un sacrificio al Tempio.
L’offerta minima, per le famiglie più povere, era quella di due colombe. Ancor più di Maria, Gesù sarebbe stato esente da tale legge ma quel riscatto sarà per lui solo l’inizio di ben altro riscatto: se Giuseppe riscatta Gesù, riconoscendolo come figlio, un altro Padre – Dio stesso – riscatta l’umanità per mezzo di quel Figlio.
Gli sguardi pensosi dei personaggi in scena fanno capire che quel gesto, apparentemente rituale, raggiunge una profondità inaudita. Gesù guarda la candela che regge la Madre con una certa apprensione. La madre, dal canto suo, si tocca il cuore, quasi reagendo alla profezia del Santo Simeone: “anche a te una spada trafiggerà l’anima”. Tutto ci riporta al Calvario dove il tempio del Corpo del Salvatore sarà trafitto per i nostri peccati e le nostre oscurità saranno inondate di luce divina come canta il profeta Abacùc: “bagliori di folgore escono dalle sue piaghe” (Ab 3,4).
La festa della presentazione è popolarmente chiamata della Candelora perché, fin dal IV secolo (secondo la testimonianza della pellegrina Egeria), i fedeli facevano processioni con candele ricordando il momento in cui la vera Luce (Gesù) entra nel Tempio. Il gesto trova le radici nella festa stessa di Hannukkah (che, nel giudaismo, cade a dicembre in prossimità del nostro Natale) dove appunto si festeggiava (e ancora si festeggia) l’edificazione del tempio con un candelabro pieno di luci. L’uso di celebrarlo a febbraio derivò anzitutto dal conteggio dei 40 giorni dopo il Natale.
Sembra che anticamente si contassero 40 giorni dopo l’Epifania, facendo così cadere la festa il 14 febbraio. Per alcuni la Candelora si sovrappose alla festa romana e pagana dei Lupercali che cadeva proprio attorno alla metà di febbraio. Lupercus, protettore degli ovini e dei lupi, era invocato con riti di purificazione; la grotta dove furono allevati dalla lupa Romolo e Remo, fondatori di Roma, era dedicata al Dio Lupercus. In realtà fin dal IV secolo, la Candelora era chiamata Ipapante, ovvero incontro, alludendo all’incontro di Cristo (Nuova alleanza) con il tempio che lo annunciava (cuore della Prima Alleanza) e all’incontro con il Santo vecchio Simeone che, prendendo fra le braccia il Salvatore, lo definì: “luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele” (Lc 2,32). Il nostro artista ingaggia un dialogo proprio tra Simeone che regge il Cristo, Maria che regge una candela e Giuseppe che reca il cesto delle colombe, un dialogo non casuale che dovrebbe portare noi, interlocutori, forse un po’ distratti, a comprendere l’insegnamento del Mistero qui narrato.
La candela è al centro della scena ed è in mano alla Madonna avvolta nel blu del suo Mistero, cioè l’immacolata Concezione. È chiara la simbologia battesimale. Ella, senza peccato apre, con il suo sì, la stessa immacolata via di salvezza a noi, segnati dalla colpa di Adamo. Abbiamo una sola porta per accedere a questa grazia: il battesimo che è immersione in Cristo. Per questo Simeone tiene, e in un certo senso anche ostende, il Santo Bambino. Giuseppe, attonito di fronte all’esiguità della sua offerta (le due colombe), fissa gli occhi in Gesù. Non le colombe, ma Lui solo è l’offerta sacrificale che ci purificherà definitivamente dal peccato.
Il nostro battesimo ci immerge nell’oscurità della morte del Cristo e ci fa risorgere nella luce dell’ottavo giorno. Un ottagono, del resto, sembra essere (anche se in parte coperto dal manto della Madonna) l’altare su cui poggia Gesù. Sullo sfondo, Anna di Fanuele della tribù di Aser (nome pieno di felicità) non ha 84 anni come ci racconta il vangelo, ma è una giovane donna, forse, non sappiamo,
è la committente dell’opera. Certo è che dietro di lei si scorgono numerose candele, le candele di noi battezzati o, per meglio dire, illuminati.
Nella Chiesa antica infatti i battezzati erano chiamati illuminati, e ancora oggi chi riceve il battesimo deve reggere (o il padrino deve reggere per lui nel caso del battesimo di un bimbo piccolo) la candela. Quella candela è un simbolo, ma la Chiesa è una verità: con l’immersione nell’acqua siamo immersi nella Passione di Cristo e rinasciamo all’ottavo giorno per mai più morire.

Suor Gloria Riva, marzo 2020