Il Battesimo nella natività di Rublëv

Andrej Rublëv, Natività di Gesù, 1405, tempera all’uovo su tavola, Cattedrale dell’Annunciazione, Mosca (Russia)
Le icone sono teologia in atto, in esse il mistero è scritto con forme e colori su tavole di legno. Le icone sono una rivelazione, un’epifania delle verità della fede che entrano nel cuore mediante la luce degli occhi. Andrej Rublëv fu uno dei grandi interpreti di questo Mistero, nella sua vita, nella sua arte. Davanti alla sua Natività resti come sospeso, attratto verso l’alto dalla leggerezza del cammino dei Magi, dalla vaporosità degli angeli, dalla luminosità della stella di fronte la quale persino le montagne si piegano. Ma subito, quasi togliendoti il respiro, senti il peso della parte bassa dell’icona con il pastore malvagio che tenta san Giuseppe e le levatrici incredule ma poi ancora, e soprattutto, quel profondo buco nero nel cuore dell’opera. Siamo all’inizio della Kenosi del Verbo, siamo in quel Verbum Caro factum est e già sprofondiamo nell’abisso della morte. Nel battesimo, dice Paolo, siamo sepolti con Cristo nella morte e risorgiamo con lui nella sua risurrezione. Ecco allora il carattere profondamente battesimale e pasquale di questa Natività. Cristo giace in un sepolcro. Egli più di ogni altro è nato per morire. La Madonna, sorpresa e confusa per quel parto misterioso, resta avvolta nel suo manto umile e terroso. Ella è creatura, come noi, eppure giace sul cuscino liturgico, usato nella celebrazione per il Messale, perché è tempio del Verbo, è Arca della Nuova Alleanza. Di fianco alla grotta-sepolcro: i credenti, i redenti, quelli che hanno accettato su loro stessi la logica di quel Verbo venuto nella fragilità della carne, ovvero gli angeli e i pastori (quelli buoni). Ma c’è una fascia, quella inferiore dell’icona che parla dell’eterna lotta dell’uomo contro il male. Qui emerge dal vivo l’oscurità della grotta che segna come punto d’ombra tutta la tavola di Rublëv. Troviamo qui, come già detto, le levatrici incredule e san Giuseppe tentato dal pastore demoniaco. Vestito di vello nero, come le pecore nere che rendevano impuro il gregge e costringevano i pastori a restare fuori dall’abitato dormendo in campagna, il pastore maligno incarna il dramma della tentazione e dell’incredulità. Credere nel concepimento verginale di Maria non fu scontato per Giuseppe, il Vangelo stesso registra il suo tormento che si risolve con l’apparizione di un angelo in sogno. La funzione del pastore maligno è quella di sussurrare a Giuseppe la falsità delle parole di Maria, tentarlo per vanificare il progetto della redenzione divina. L’icona ci riporta così al dramma del peccato originale: ogni uomo è tentato nella diffidenza verso Dio e se Maria, come nuova Eva, ha aderito senza condizioni al progetto di Dio, Giuseppe viene tentato nella fiducia verso la Madonna. Capiamo meglio, allora, la scena delle levatrici: uno dei loro compiti in occasione del parto è quello di lavare il nascituro dal sangue della madre. Qui esse si trovano davanti all’inusitato: quel bambino non ha alcun bisogno di purificazione, è bianco e immacolato. Così quelle acque lungi da purificarlo sono esse ad essere purificate in vista del nostro battesimo. In altre natività, come ad esempio quella di Duccio da Buoninsegna (1308 circa), il divino Infante, benché non ne abbia bisogno, è comunque immerso nelle acque. Il parallelo con il Mistero del battesimo di Cristo e il nostro battesimo è evidente. Come sulle rive del Giordano Cristo si presentò davanti a Giovanni non perché avesse necessità di essere purificato ma per la purificazione di tutte le acque in vista del nostro battesimo, allo stesso modo nelle natività Cristo viene immerso nell’acqua dalle levatrici, non per la sua purificazione, ma per la purificazione delle acque. Con l’Incarnazione dunque Cristo inizia quell’immersione nella morte che si compirà sulla croce e che libererà noi dalla colpa originale. Infatti, come già si è più sopra ricordato, come siamo stati sepolti (col battesimo) nella morte di Cristo così (risalendo dalle acque) partecipiamo della sua risurrezione.

suor Maria Gloria Riva, gennaio 2020