Il Concilio di Gerusalemme

Sfida alla comunione fra gli Apostoli

Immagine: icona moderna che rappresenta la Chiesa del “Concilio di Gerusalemme” descritto negli Atti degli Apostoli.

Premessa

Il battesimo di Cornelio avvenne, seguendo la datazione più accreditata, nel 34 dC; tre anni dopo, nel 37, nasce ad Antiochia la prima comunità cristiana dove i seguaci di Gesù, comprendenti giudei e pagani, per la prima volta sono chiamati cristiani. Barnaba e Paolo rimangono ad Antiochia per un anno ed è proprio in questo contesto che la domanda circa l’ammissione dei pagani alla fede in Cristo senza farli passare dalle prescrizioni della legge di Mosè si fa più acuta. Il brano che narra del Concilio di Gerusalemme (At 15) parte proprio da questa difficile situazione della Chiesa antica dove Pietro, pur avendo battezzato Cornelio, era stato costretto più volte a frenarsi nel suo rapporto con i pagani subendo anche il rimprovero dello stesso Paolo (cfr Gal 2, 11-14). C’è sempre qualcuno che non accetta le disposizioni prese dall’autorità e, se nelle diatribe l’istinto porta ad isolare o isolarsi, nella prima comunità cristiana c’era invece l’abitudine di riunirsi per dirimere le contese e condividere le esperienze. Lungo il libro degli Atti sono numerosi gli esempi che Luca offre di questa consuetudine (cfr At 15,4.16).

Il discernimento nella primitiva comunità cristiana
Lo scopo della riunione appare chiaro. Non si tratta di stabilire quale sia il parere della maggioranza in merito ai pagani, ma di comprendere cosa voglia il Signore. Nel testo emergono tre posizioni che possono illuminarci circa gli strumenti che una comunità può usare per operare un vero discernimento.
L’agire di Dio nella storia: Paolo e Barnaba, missionari, partono da esperienze concrete. Essi parlano di ciò che Dio ha fatto per mezzo loro fra i pagani, guardando all’agire di Dio nella storia (cfr. 14,27; 15,4; 15,12).
L’agire di Dio nei cuori: Pietro invece, essendo eminentemente Pastore, si basa, nel suo discernimento, su ciò che Dio opera nei cuori (At 15,8-9).
La testimonianza delle Scritture: Giacomo infine discerne additando la testimonianza delle Scritture (15,15-19), e cita un passo di Amos che nella bibbia greca interpreta l’ebraico in chiave universalistica. È la voce del magistero che vaglia esperienze e intuizioni spirituali alla luce del dato rivelato.
Questi tre elementi costituiscono una griglia capace di mettere al vaglio le situazioni e stabilire, almeno in parte, quanto esse vengano da Dio e conducano alla Verità e quanto invece siano opera dell’uomo o, per lo meno, invitino alla prudenza. La prudenza dell’agire è evidente nel tempo di maturazione che ebbe tutta la contesa. Dalla conversione di Cornelio (34-45 dC) sono trascorsi dieci anni (Concilio di Gerusalemme 46 dC); lo fa presente Pietro nel suo discorso: voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi, perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del Vangelo. In questi dieci anni il Principe degli Apostoli ha preso tempo, non si è affrettato a trovare regole e soluzioni al problema, ma ha lasciato che tutti avessero un tempo necessario per discernere e interrogarsi, al fine di giungere insieme alla verità.
Un’icona moderna ci aiuta a rendere visivo questo primo Concilio della storia della Chiesa, In alto in ebraico si trova scritto: Knesset (assemblea) dei Governanti a Gerusalemme. La città di Gerusalemme si trova al centro, sullo sfondo. Due scritte sopra le città laterali ne indicano l’identità: a destra Antiochia, a sinistra Giaffa. Si allude così ai due luoghi dove la volontà di Dio si manifestò attraverso i fatti.
Pietro e Paolo sono ai lati di un personaggio misterioso che reca i paramenti liturgici del Celebrante. Pietro reca il rotolo della Torah, dal quale pendono le chiavi, suo principale attributo. Ai piedi la scritta ebraica: Simone. Dall’altra parte Paolo reca un libro, simbolo del Nuovo Testamento, sotto la scritta col nome Saul. Dietro a Paolo c’è, Barnaba, riconoscibile per la scritta bar-nabah; anch’egli, come Pietro regge un rotolo. A differenza del gruppo di sinistra, ritratto frontalmente, Paolo e Barnaba sono colti nell’atto di sopraggiungere in quel momento e di doversene presto andare. Essi rappresentano così le urgenze pastorali.
L’identità del personaggio centrale la rivela la scritta sottostante: Jacob. È il patriarca Giacobbe che dà il nome a Israele, ma è anche Giacomo il minore. Questi dirime la questione citando il profeta Amos (cfr At 15, 13-19).  «Quel giorno io rialzerò la capanna di Davide che è caduta, ne riparerò i danni, ne rialzerò le rovine, la ricostruirò com’era nei giorni antichi, affinché possegga il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è invocato il mio nome», dice il Signore che farà questo». Egli è centrale e veste i paramenti sacri perché la sua parola è definitiva. Ai pagani sarà chiesto di osservare solo i sette comandamenti attribuiti a Noè (un uomo giusto che si colloca prima della rivelazione di Dio fatta ad Abramo). Tali comandamenti, detti noachidi, sono considerati la legge naturale dell’uomo. Nell’Icona la parola «possesso» è modificata con «eredità». La Chiesa, per il Concilio di Gerusalemme, eredita le nazioni pagane sulle quali pure è il nome di Dio. Simboli ebraici e cristiani riposano sull’altare: il calice dell’ultima cena; la patena col pane eucaristico, il rotolo dell’Antico Testamento e la menorah. Dunque nell’incontro e nella comunione, attraverso gli eventi della vita; il confronto con la Parola di Dio e la Parola del Magistero rappresentata da Pietro si ha la certezza di seguire la via che il Signore ha indicato entro le strade tortuose della storia umana.

suor Gloria Maria Riva, marzo 2023