Il Fuoco dello Spirito

Maestro di Westfalia, miniatura sulla Pentecoste

Il fuoco nel suo duplice effetto di luminare/riscaldare e distruggere/purificare è stato evocatore tanto della divinità quanto del demoniaco. Gibil, dio sumerico del fuoco, era considerato apportatore di luce capace, con la forza della sua fiamma, di purificare dalle impurità. Nella cultura egizia si riteneva che i morti fossero minacciati nel loro passaggio alla vita eterna da correnti di fuoco. Le grandi teofanie di Dio nella Bibbia sono legate al fuoco. Soprattutto nei salmi l’apparire di Dio, il suo agire, è paragonato alle eruzioni vulcaniche (cfr Sal 50,3; Sal 97,1-4).
La prima pagina della Scrittura ci ha già offerto numerosi spunti nell’indagine dei simboli dell’acqua, del vento e della colomba assunti dalla tradizione cristiana per definire l’azione dello Spirito Santo: “lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gn 1, 2). Nella lingua siriaca questi stessi versetti venivano tradotti così: Lo Spirito del Signore “riscaldava covando le acque”. Una interpretazione che in Sant’Efrem il siro è diventata poesia: “Grazie al calore, tutto matura; grazie allo Spirito, tutto viene santificato: un simbolo evidente! […] Il calore ridesta il seno della terra addormentata, così fa lo Spirito Santo con la Chiesa”.
La prima manifestazione di questo fuoco d’amore la troviamo nella vita di Abramo. Il Signore stipulò con il patriarca un patto di alleanza irrevocabile passando Egli stesso, solo, in mezzo alle vittime sacrificali secondo un antico cerimoniale. Un’alleanza che, attraverso Abramo, Dio stipula con una discendenza numerosa, l’umanità intera: Quando tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abram: Alla tua discendenza io do questo paese” (Gen. 15,17).
Una seconda manifestazione la troviamo nella vita di Mosè. Pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, Mosè vide il Signore in una fiamma di fuoco (Es 3, 2) che avviluppava un arbusto senza consumarlo. Da questo roveto ardente la voce di Dio disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo e ho udito il grido delle sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo” (Es. 3,7-8a). Nel fuoco lo Spirito di Dio si rivela come amore che “cova la sua nidiata”, che conosce il suo popolo, le sue sofferenze e se ne prende cura fino a legarsi ad esso indissolubilmente. Non a caso la tradizione cristiana ha visto nel roveto ardente la prefigurazione di Maria, colei che adombrata dallo Spirito Santo è divenuta madre, rimanendo intatta nella sua verginità. L’amore di Dio è tale da farsi uno di noi, uomo come noi, per abituare, come dicono i padri, lo Spirito Santo ad abitare in mezzo agli uomini. All’uscita del popolo dall’Egitto l’azione dello Spirito si manifesta attraverso il concatenarsi di tre elementi: vento, acqua e fuoco. Un forte vento d’oriente (Es. 14, 21) divide il mare e il popolo passa all’asciutto mentre una colonna di fuoco lo separa e protegge dagli egiziani lanciati all’inseguimento. Questa colonna di fuoco non abbandonerà il popolo lungo tutta la traversata del deserto conducendolo alla terra promessa (Es. 14, 21-22). Durante questi quarant’anni di peregrinazione lo Spirito Santo con la sua guida luminosa farà di questi uomini (ex schiavi e gente promiscua cfr. 12, 37-38), un popolo di sacerdoti e una nazione santa. Nel nuovo Testamento Giovanni il Battista annuncia Gesù come colui che “vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lc 12, 49). Acqua e fuoco vengono nuovamente associati per esprimere la trasformazione radicale che il Signore opererà nei credenti in Lui. Gesù stesso dirà di sé: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto” (Lc 12, 49-50). Il fuoco che Cristo è venuto a portare è quello che divampa dalla sua croce: il fuoco dello Spirito. Il battesimo che deve ricevere è la sua morte e sepoltura che renderà i suoi discepoli partecipi della sua stessa vita. Così, nelle acque del Battesimo, i fedeli in Cristo sono rigenerati a nuova vita dallo Spirito che opera in essi come “fuoco della trasformazione” (Filocalia 1,374).
Nella liturgia bizantina si ritrova questo simbolismo allorché, per significare la presenza dello Spirito nel sangue di Cristo, viene infusa acqua bollente nel calice mentre il diacono dice: “Fervore della fede, ricolma dello Spirito Santo”. L’acqua calda, ha in sé qualcosa del fuoco ed è doppiamente simbolo, come acqua e fuoco, dello Spirito Santo che vivifica il sangue di Cristo e che, attraverso il sangue di Cristo viene partecipato alla Chiesa. Una particolare pentecoste raffigura questo mistero attraverso il pennello di un anonimo miniaturista, noto come il Maestro di Westfalia. Il fuoco non è immediatamente rappresentato ma “regna” sugli abiti degli apostoli e sul manto di Maria. Sono infuocati i raggi che partono dal centro della tavola dove lo Spirito Santo sta planando tenendo nel becco il Santissimo Sacramento. Questo artista riesce ad esprimere il legame profondo fra il cenacolo dell’ultima cena e il cenacolo della Pentecoste. Quel fuoco che Cristo è venuto a portare con la sua passione si compie qui a questa tavola: la forza del cibo offerto da Gesù nel suo Corpo, può incendiare il mondo intero del suo stesso Amore. La Chiesa è dunque il luogo dove arde quello Spirito, ciò la rende capace di rimettere i peccati e restituire l’uomo alla vita vera. A proposito della Pentecoste, Cirillo di Gerusalemme affermava che gli apostoli ricevettero il “fuoco che brucia le spine dei peccati e dà splendore all’anima”. Lo splendore è nell’anima di colui che si lascia infiammare dal Corpo del Signore ricevuto degnamente.

suor Maria Gloria Riva, maggio 2022